La premessa è esplicita, esprime un preciso punto di vista ancor prima che il racconto si dispieghi. La Fortuna è una forza primordiale, non conoscibile, non razionalizzabile, che viene prima di ogni azione umana. Accanto ad essa, in rapporto antitetico, abbiamo la Virtù. Ed i due elementi in gioco caratterizzano la vicenda, drammatizzandola.
La carriera dell’audace cortigiano, che si affanna ad arrampicarsi per la ripida scala sociale, è messa in pericolo dall’imprevisto che irrompe. Sulla raggiunta agiatezza, ottenuta senza dimostrare alcuna qualità se non un propizio opportunismo, aleggia ora una sventura: quella del disordine operato dalle forze del caso diventate improvvisamente minacciose, di fronte alle quali si ritrova indifeso e spaventato.
Per rendere fortunata una vita ci vuole il sacrificio di altre vite, più deboli e confuse, per le quali la Fortuna si dimostra invece una forza nemica e perversa.
C’è dunque una netta contrapposizione tra il mondo solitario ed individualista dei potenti, e quello ordinario e problematico delle vittime. Ma l’appartenenza al primo, se pur mette sostanzialmente al riparo dai mutamenti inspiegabili della sorte, non può garantire il raggiungimento della felicità.
Match Point, di Woody Allen, con Jonathan Rhys-Meyers, Scarlett Johansson, Paul Kaye, Matthew Goode (Gran Bretagna/USA, 2005, 124')