Un film incisivo come raramente capita di vedere, disseminato di paradossi, di interrogativi, che porta alle estreme conseguenze l’etica calvinista del lavoro inteso come dovere sacro. Il disagio di ritrovarsi disoccupato spinge un quarantenne benestante ad entrare in una competizione efferata con i concorrenti ad un nuovo posto. Ogni implicazione morale si annulla: la logica è gelida, ossessiva, non fa una grinza. Nonostante mantenga la consapevolezza di vestire panni che non sono i propri, egli calibra alla perfezione la traiettoria del folle piano. Neppure la giustizia segue il corso che le spetta: l’unica legge possibile in questa società esasperatamente individualista è homo homini lupus. La vicenda appare singolare, ma talmente realistica da indurre lo spettatore ad identificarsi nel protagonista. Di più. A diventarne complice ideale. Non si è solamente partecipi della frustrazione, ma sotto sotto si finisce per aderire alle sue ragioni: mantenere la prosperità economica ed il ruolo sociale acquisiti grazie alla propria operosità. Perché le colpe della crisi vanno esclusivamente addebitate alle logiche superiori della finanza che reggono gli interessi delle Multinazionali. Costa-Gavras disseppellisce con pessimismo tagliente i modelli insostenibili della realtà contemporanea, ed allo stesso tempo testa la nostra vulnerabilità.
Cacciatore di teste (Le couperet) di Constantin Costa-Gavras, con José Garcia, Karin Viard, Olivier Gourmet (Belgio/Francia/Spagna 2005, 122')