I soliti interessati di Destra, affiancati da tante anime buoniste, hanno ieri severamente attaccato i fischiatori di Letizia Moratti. Senza entrare nel merito della questione, osservo che la disapprovazione sonora ad un regista, ad un attore, ad un cantante o ad un musicista, fa parte della migliore tradizione dello spettacolo. È segno che il pubblico non considera la rappresentazione cui sta assistendo come semplice intrattenimento e non si appiattisce nell’indifferenza o nell’applauso convenzionale, indici spesso di disinteresse e di insensibilità. È segno che il livello emotivo non appare inferiore a quello degli spettatori di esibizioni sportive, cui nessuno contesta, oltretutto, il diritto di manifestare il proprio dissenso. Nel grande spettacolo della politica, gli attori pretendono invece di essere solo venerati, e hanno costruito un sistema in cui il fischio è un grave gesto di intolleranza, le male parole sono atti di terrorismo.
Troppo comodo, signori miei. Come non mi astengo dal manifestare, anche rumorosamente, il dissenso per uno spettacolo che non mi piace, io rivendico il mio diritto di contestare certi commedianti della politica, spesso impegnati solo a difendere interessi personali. E non solo rivendico il diritto al fischio, ma pure quello al pernacchio. Che non sarà certo elegante, ma in alcune situazioni rappresenta davvero l'unica maniera per manifestare la propria irritazione. In questa società ipocritamente perbenista e plebiscitaria ad oltranza, l'ironia costituisce l'ultima arma che abbiamo a disposizione per non fare la fine delle pecore, tosate e mute. E allora usiamola.