S’intitola Il Leone del Deserto ed è un film che probabilmente non vedremo mai nei nostri cinema. Quando nel 1981 uscì in Europa e negli Usa, il Ministero degli Esteri ne vietò la distribuzione ritenendolo lesivo dell’onore militare e tuttora permane “ufficiosamente” il divieto di circolazione. Io ho avuto la possibilità di conoscerlo per caso qualche anno fa, nella versione inglese, durante una rassegna estiva sul cinema africano.
Girato nel deserto libico e a Cinecittà sotto la regia di Moustapha Akkad, un americano di origine siriana, Il Leone del Deserto annovera nel cast attori di primo piano (Anthony Quinn, Rod Steiger, John Gielgud, Oliver Reed, Irene Papas). Classica produzione internazionale ad alto budget, venne parzialmente finanziato da Gheddafi che pretese anche l’inclusione di alcune sequenze. Il film è ambientato nei primi anni ‘30 durante l'occupazione italiana della Libia, la “quarta sponda”, il “posto al sole” che pretendeva Mussolini (qui impersonato da Rod Steiger), e racconta la strenua resistenza che le tribù beduine opposero al nostro esercito, guidato dal generale Graziani (Oliver Reed). Eroe e protagonista del film, Omar el-Mukhtar (Anthony Quinn), soprannominato il leone del deserto, era un maestro di scuola elementare che dimostrò doti inaspettate di strategia militare. Tanto che l’esercito italiano incorse in più di una sconfitta, prima di sconfiggerlo grazie all’assoluta superiorità di uomini e mezzi.
L'occupazione, guidata dal generale Graziani, fu spietata e sanguinosa, vennero compiute brutalità tenute nascoste per anni negli archivi militari. Per stroncare la resistenza, le coltivazioni furono distrutte, i pozzi avvelenati e l’intera popolazione della regione del Jebel Akhdar deportata. Circa centomila persone (il dieci per cento degli abitanti della Cirenaica) finirono imprigionate nei campi di concentramento approntati nel deserto della Sirte, dove in migliaia morirono di stenti. Contro i combattenti vennero inoltre usate armi proibite, come le terribili bombe chimiche all’iprite. Il 13 settembre 1931, Omar el-Mukhtar fu circondato e catturato in Cirenaica insieme ai suoi uomini e condotto a Bengasi. Portato davanti ad una corte militare, subì un processo-farsa con l’accusa di alto tradimento. La condanna a morte venne eseguita all'alba del 16 settembre, per impiccagione pubblica, davanti a ventimila compatrioti nel campo di concentramento di Soluk.
Il Leone del deserto propone una meticolosa ricostruzione che gli storici (anche italiani) hanno giudicato corretta. In questo senso, alcune sequenze sono estremamente significative. Ad esempio quella in cui le camicie nere, approfittando dell'assenza di el-Mukhtar e dei suoi uomini, invadono il villaggio e massacrano gli abitanti. In un’altra si descrivono le condizioni inaccettabili che i diplomatici fascisti presentano ad el-Mukhtar al tavolo delle trattative. Per converso occupa un posto di rilievo la figura positiva del colonnello interpretato da Raf Vallone, che evita una separazione manichea tra italiani cattivi e beduini buoni.
Tuttavia, a settant'anni di distanza, non siamo ancora in grado di fare i conti con la nostra disastrosa politica coloniale. Questa pagina oscura è stata praticamente relegata nell'oblio. Chi partecipò all’impresa nega tuttora i massacri e, soprattutto, l’impiego dei gas urticanti. Solo di rado i libri ne parlano in termini critici, limitandosi a descrivere i fatti bellici (magari rimasticando la propaganda fascista dell’epoca) o a citare le “opere di civilizzazione” compiute. Si tratta di un silenzio scandaloso, mantenuto anche grazie al boicottaggio cui è stato sottoposto questo film che sfata lo stereotipo degli “italiani brava gente” e punta il mirino contro le atrocità commesse dai nostri soldati.
The Lion of the Desert di Moustapha Akkad con Anthony Quinn, Oliver Reed, Rod Steiger, John Gielgud, Irene Papas, Raf Vallone (Libia-Usa [!], 1980, 192’)
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