Agosto 2001. Mancano due mesi al matrimonio, Giulia ed io decidiamo di concederci una breve vacanza. Qualche giorno appena: un po’ perché abbiamo speso già abbastanza per la casa, un po’ perché faremo il viaggio di nozze in crociera. Come meta scegliamo allora Perpignan, nel sud della Francia, quasi al confine con la Spagna. Ci riposiamo, prendiamo il sole, facciamo qualche breve escursione sui Pirenei, visitiamo Barcellona e Gerona.
Fin qui, niente di straordinario.
Il fatto è che Giulia ha in mente di andare a La Bisbal d’Empordà, un paese dell’entroterra catalano che pare sia famoso per la produzione di ceramiche. Ci sono stati mia sorella e mio cognato, dice, hanno comprato un vaso bellissimo e a poco prezzo. Io nicchio. Primo, perché l’idea di perdere una mezza giornata di mare per andare in un buco di posto non mi convince. Secondo, perché fa un caldo bestiale e sospetto che laggiù sarà anche peggio. Terzo, perché tengo in scarsissima considerazione gusti e giudizi dei futuri cognati. Giulia però insiste ed io – come al solito - cedo.
Partiamo il mattino presto. Passata la frontiera ci rechiamo subito a Figueras (la bella figueras, celio) dove si trova il Teatre-Museu Dalì. E dopo aver pranzato al sacco, ci dirigiamo alla volta di La Bisbal.
Sono le due del pomeriggio. Il tempo è afoso. Sull’insegna di una farmacia, un termometro segna 35 gradi. Il sole picchia come un dannato, nel cielo smorto non c’è una nuvola. La mia auto è priva di condizionatore, dunque viaggiamo con i finestrini abbassati. La strada s’inerpica accidentata, a curve e controcurve, lungo colline aride ed incolte. Non si vede anima viva, non c’è un’indicazione che è una. Potremmo essere tanto in Messico quanto in Marocco. O fuori del mondo. Giulia è occupatissima a consultare la guida del Touring, come se fosse la volta buona che ci azzecca qualcosa. Lascia stare, le dico, preferisco orientarmi con il sole e il volo degli uccelli.
Dopo un’ora di saliscendi ubriacanti, comincio a spazientirmi. Cosa che non capita mai quando sono in vacanza. L’abitacolo sembra un forno a legna, la luce è accecante, il volante mi ustiona le mani, sudo a dirotto. E come se non bastasse, la borsa termica non riesce più a mantenere l’acqua al fresco. Ho la vaga sensazione che non hai avuto un’idea tanto furba, digrigno. Ecco: tutte le volte che propongo qualcosa tu ti lamenti, risponde lei. No, ma che dici, non mi lamento mica: anzi, pensa come soffriremmo in spiaggia, con quella brezza leggera, a sguazzare tra le onde. Per fortuna mi hai portato qui. Sei sicura però che La Bisbal esista o non sia il miraggio di qualche beduino?
No. La Bisbal d’Empordà esiste davvero. Improvvisamente la camionabile spiana e diventa un rettilineo che sfoca nel nulla. Ai due lati si srotola una sequela interminabile di botteghe tutte uguali. Non una piazza, una chiesa. Niente. Arriviamo al fondo del paese. Oltre, riprende la distesa desolata di prima. Ma in che razza di postaccio infame siamo finiti. Beh, torniamo indietro e posteggiamo. Grazie per il suggerimento.
Sono affaticato, accaldato, e in più il bieco presentimento che avevo si è trasformato in realtà. La Bisbal è la classica trappola per turisti scemi. I negozi espongono tutti, più o meno, la stessa merce: soprattutto vasellame di ceramica, con colori sgargianti che farebbero venir la nausea a un daltonico. Si va dalla paccottiglia fatta in serie che costa alcune centinaia di pesetas (qualche migliaio delle vecchie lire, per intenderci) a pezzi unici per i quali occorrerebbe accendere un mutuo. Naturalmente, a Giulia la roba dozzinale non piace e i manufatti di pregio sono a suo giudizio troppo cari. Siamo alle solite. Come se non la conoscessi. Allora che ci siamo venuti a fare fin qua, borbotto: avremmo potuto trovare le stesse carabattole al mercato di Perpignan. Ma no, risponde lei convinta, mia sorella ha assicurato che è artigianato locale. Maddài: conosci qualche stordito, a parte noi – anzi, a parte te – che verrebbe in questo buco di posto a ferragosto? Non capisci. Ti dico io quello capisco: andrà a finire che non comprerai niente perché ciò che è caro è troppo caro e ciò che costa poco fa schifo.
Il sole cocente surriscalda l’asfalto screpolato del marciapiede. Non ci si può nemmeno riparare all’ombra, perché non c’è neppure un albero. Un vento caldissimo ha preso intanto a spirare teso e fastidioso dall’altopiano. La testa bolle, la pelle frigge, le frattaglie vanno arrosto. E sono letteralmente consumato dalla sete. L’acqua che avevamo in auto è diventata brodo, ma non possiamo comprarne dell’altra perché abbiamo solo franchi francesi che qui nessuno accetta. E figuriamoci se in queste bettole di strapaese prendono la Visa.
Possiamo tornare indietro? Avevo visto una cosa che mi piaceva, ma non so più dove. Strabuzzo gli occhi allibito. Vuoi rifare il giro da capo? Stai tranquillo, entro solo qui. E poi qua. E anche là. Mi fanno male i piedi, ho le gambe di cemento, sembro un pupazzo sfatto, ma la seguo. Visto che ho trovato? Sei cassoles e un cremador per fare la crema catalana. Uhm. Non sei convinto? Mah. (Nota bene: da sei anni quella roba giace inutilizzata nell’armadio del salotto.)
Il pomeriggio allunga le ombre sulla terra bruciata dal solleone. Las cinco de la tarde. Gli autocarri tirano su nubi di polvere dalla camionabile. Un cane mezzo pesto ci latra dietro qualche insulto. Una gallina scappata da chissadove passa starnazzando. Senti, ne ho piene le gonadi: non so te, ma io me ne vado. Sì, possiamo andare. Ah, vieni anche tu? Pensavo aspettassi tua sorella e tuo cognato, visto che a loro ‘sto immondezzaio piace tanto. A me avevano detto che il paese era carino. Carino come farsi fare una rettoscopia. Non esagerare. Non esagerare? Sono stremato, grondante da far ribrezzo, disidratato, in stato confusionale, ho le allucinazioni come Fantozzi e devo ancora guidare per ore su queste stradacce bucate. Giulia non parla più. Si è offesa. Va bene, non dovevo sbottare in questa maniera. Però non credo di avere tutti i torti. Comunque. Prendo in mano la cartina geografica. Senti, facciamo così: da qui ci dirigiamo per Castellò d’Empuries, arriviamo sulla Costa Brava, passiamo a Cadaqués e poi ceniamo sul lungomare di Roses. Rientreremo più tardi, tanto fa uguale.
Una saporita paella valenciana ed una caraffa di sangrìa gelata rasserenano la notte che abbraccia luminosa Golfo de Roses. Come avevo previsto, Giulia ha scovato un set in ceramica per il bagno identico a quello visto a La Bisbal e di prezzo nettamente inferiore. Che facciamo, lo compriamo? Massì, spero soltanto che si rompa presto (cosa che puntualmente accadrà).
La cronaca di quell’interminabile giornata d’agosto, però, non finisce qui. Alla frontiera con la Francia incappiamo una coda lunghissima di automobili. I doganieri stanno cercando qualcuno – o qualcosa – e controllano minuziosamente carte d’identità e libretti di circolazione. Perdiamo così un’ora abbondante, e siamo a Perpignan soltanto all’una passata. Giunti finalmente in hôtel, scopriamo con sgomento che la carta elettronica che apre la porta della stanza si è smagnetizzata. Alla récéption non c’è nessuno: un cartello suggerisce laconico di rivolgersi al bar vicino. Qui siamo accolti dalle occhiate torbide di un paio di peripatetiche stravaccate sul bancone e da alcuni habitué palesemente alticci. Un cameriere controlla qualcosa su un blocchetto di appunti, poi ci comunica che il codice di accesso è stato cambiato perché non abbiamo saldato il conto. Che? Ma se abbiamo pagato tutto e in anticipo, esclamo io. Avete la ricevuta? Certo, prorompe Giulia, solo che è nella valigia e la valigia sta in camera. L’uomo non sembra troppo convinto: dovrei verificare, ma a quest’ora in hôtel non c’è nessuno. Va bene, alzo la voce, se non ci apre subito ci rivolgiamo alla polizia. Alla parola polizia gli avventori presenti si azzittiscono all'istante, le peripatetiche si ridestano di botto e il cameriere fa una faccia preoccupata. Facciamo così: lasciatemi un documento, io vi do un’altra carta, e domattina presto vi recate alla récéption per chiarire la faccenda. Giulia ed io approviamo con un sospiro di esasperazione. Quando entriamo nella nostra stanza sono le due e mezza. Controlliamo che non manchi nulla e poi piombiamo nel letto, stravolti dalla stanchezza.
Vi è piaciuta La Bisbal, vero?
Carbonizzo con lo sguardo i futuri cognati.
Sono ancora in tempo per disdire le nozze?
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