Viviana conclude la frase appoggiando la tazzina del caffè sul piattino. Il breve tintinnio risuona nello spazio aperto del dehors tra il vociare degli avventori e i motori delle automobili. La luce del sole si riflette abbagliante nei bicchieri e sul bianco della tovaglia. Fa caldo. Il senso di ripienezza postprandiale provoca una vaporosa sonnolenza, e il vino contribuisce ad allentare i nessi associativi.
Hai presente Fanny Ardant in Vivement Dimanche? Ebbene, Viviana le rassomiglia molto. I morbidi ricci neri, il volto elegante atteggiato in un’espressione pensosa, gli occhi scuri appesi fermamente ai miei. Come a voler sapere qualcosa di preciso. Qualcosa che io so bene. Quella sera il suo approccio fu senza sottintesi. Il seno posato contro la camicia, le dita distese ad avvolgere i fianchi, il respiro caldo nelle narici, le labbra vibranti in un flebile mormorio. Nella semioscurità della stanza un odore speziato di sudore e turbamento. Sarebbe stato facile. Nessuno l’avrebbe mai saputo. Una tentazione da consumarsi corpo a corpo sull’ampio divano in pelle. Senza impedimenti. Senza richieste né ripercussioni.
Un cameriere passa rapido tra i tavoli a portare il conto.
Invece no. Non andò così. Le strinsi gli avambracci, quel tanto che serviva per sospendere il fluire delle sue movenze. Scusami. Si riscosse, come da un torpore. Mi piaci, mi piaci Viviana, ma non è questo il punto. Lei sgranò gli occhi. Amo un’altra donna. E non voglio farle del male. La sentii rilasciarsi. Suppongo che non sia tua moglie. Per favore, non chiedermi di più. Si voltò di trequarti, cercando qualche cosa da fissare. Viviana. L’abbracciai. Ti voglio bene, sei un’amica. Ma non basta, proseguì lei. È così, non basta. Non per me, almeno.
Oggi tocca a me, dice lei facendo il gesto di ritirare lo scontrino. No, lascia, ci penso io. Inavvertitamente le nostre mani si toccano, e lei prolunga il contatto per un istante. L’ami ancora? Sorrido, lo sguardo tra la sedia e la fioriera.
(Aprile 2007)