All’epoca delle fortune dell’antipsichiatria, Ken Loach ricorre ad un originale televisivo della Bbc per tracciare il ritratto esemplare di una ragazza vittima della società e delle istituzioni. Janice vive in un’ordinaria famiglia della piccola borghesia inglese. Ma l’apparente normalità e il rispetto formale delle convenzioni possono condurre alla malattia mentale. La madre, anaffettiva e intrusiva, l’ha piegata sistematicamente alla propria rigida volontà; il padre cela l’incapacità di svolgere il proprio ruolo di genitore dietro la maschera della prepotenza. Soltanto la sorella, che sposandosi si è sottratta a quell’ambiente domestico, cerca di aiutarla, tuttavia non ha alcuna possibilità di agire concretamente. Lo psicoterapeuta dal quale Janice è inviata ha un approccio di tipo socioculturale, riconoscendo nel disagio psichico i problemi relazionali presenti all'interno del nucleo familiare. In questo senso inizia ad operare, con tatto e comprensione, intervenendo anzitutto sulle modalità patologiche di comunicazione. Successivamente, la ragazza è costretta a passare nelle mani di uno psichiatra che, invece, disconosce le cause del malessere e la sottopone all’elettroshock. La terapia non sortirà alcun effetto: dopo un fallito tentativo di fuga, Janice si rifugerà definitivamente nel buio impenetrabile della schizofrenia.
Il procedimento di Loach è essenziale: accostare frammenti di realtà, farli interagire, estrarne un filo narrativo sottilissimo ma saldo, consegnarlo senza commenti allo spettatore affinché possa trarne spunti di riflessione. Lo stile è secco, il film girato come fosse un documentario (e in qualche sequenza pare esserlo veramente). La vis critica nei confronti delle istituzioni si presenta lucida e compatta: il regista conserva un ammirevole senso della misura senza mai venir meno al dovere dell’onestà intellettuale.
Family Life di Ken Loach con Sandy Ratcliff, Bill Dean, Grace Cave, Hilary Martyn (Gb, 1971, 110’)