Ferragosto 1999. Mont-Saint-Michel appare all’improvviso dietro i campi di grano lungo la strada che proviene da Dinard. Sembra un miraggio sbucato da qualche fosca saga medioevale. Parcheggio in un terreno erboso situato ad un paio di chilometri, ben lontano dall’alta marea, e percorro a piedi il nastro di strada asfaltata che conduce alla Porte de l’Avancée.
Sono circa le nove del mattino: ancora pochi turisti circolano per la Grand-Rue, la ripida ascesa verso l’ingresso dell’abbazia è quasi solitaria. Dai bastioni scorgo l'oceano che lentamente si ritira, scoprendo una distesa di finissima sabbia dorata. Visito La Merveille con il passo lento del pellegrino e assisto alla messa delle undici, celebrata nella chiesa posta sulla sommità del monte. Sebbene il cielo non sia limpido, dal sagrato si avvista un panorama incantevole sulla baia.
Le strette vie del borgo si sono riempite nel frattempo di gente, scaricata da una miriade di auto e pullman che hanno invaso i posteggi liberati dall’acqua. La bellezza assoluta del primo mattino svanisce in mezzo all’assurda calca pomeridiana. E l’infilata di negozietti, ristoranti, caffè, toglie fascino alle antiche case addossate alle mura. L’ultima immagine che conservo è quella delle greggi sparse nei prati verdissimi intorno al villaggio, prima che la marea rimonti ad affogare un'altra volta tutto quanto.