mi accosto appena all’argomento, un laconico inciso tra le crespe del discorso, come una brezza leggera sul pelo dell’acqua; invece ho gettato in scia un’esca inapparente, una piccola rete a strascico – maglie strette, fatte apposta per i pesci piccoli – calata alle tue spalle in un risucchio danzante: se finirai inviluppata allora nascosta giacevi sul fondale, fuori solo i due punti neri degli occhi, se la scanserai ti sei (sì) accorta che ero pescatore eppur non hai saputo evitare il mio sguardo subacqueo; ebbene, tu sfuggi rapida, quasi alla leggera, non più d’un breve guizzar di pinne (ah…) come vago interloquire: troppa sabbia da scuotere lungo i banchi silenti, troppo fragile la barriera corallina che vuoi proteggere; io capisco e sciolgo subito la presa – soltanto vorrei chiederti quale pallido timore se possedessi qualche scaglia in più di te (la scarterei giudicandola non commestibile, ti metterei sul piatto di una bilancia, farei un prezzo più basso di ciò che vali?) –, tiro in secco la lancia e ti lascio andare alla schiuma della corrente, affinché tu possa rientrare libera al rifugio sommerso e ai misteri racchiusi 20.000 leghe sotto i mari;