L’onda è una parete di cristallo opaco che cresce come il respiro di una balena. Il suo ampio movimento dal largo verso riva solleva e abbassa la prua di un peschereccio contro il filo dell’orizzonte. Bave fosforescenti si frangono sugli isolotti rocciosi che punteggiano il cielo nero. È il battito di cuore del mare irlandese, agitato come non l’avevo ancora visto. Nulla da spartire con il placido dondolio del Mare Nostrum. L’Atlantico, già severo quando sta quieto, in queste giornate di maltempo assume un aspetto sinistro.
La lampada di un faro pulsa ritmicamente sopra un promontorio. Raffiche nervose di vento scuotono tenaci arboscelli. La zona costiera dove ho fermato l’auto è alta, frastagliata, gli scogli interrotti da brevi strisce di sabbia, e si dissolve in una foschia lattiginosa. Sono gli spruzzi della schiuma portati dal vento che si mischiano ad una pioggerellina fitta e schiaffeggiano il volto e le mani. L’orologio segna le dieci della mattina di un’estate fino a ieri caldissima, come a memoria qui non si ricordava. Ma oggi, nella selvatica contea di Donegal, la luce è incerta, la visibilità scarsa. E fa freddo, decisamente freddo. Mentre una fastidiosa sensazione di umidità penetra fin sotto il maglione e rabbrividisce la pelle, rimpiango il tempo magnifico del Ring of Kerry e delle Aran. Ci fosse almeno un pub aperto, un irish coffee sarebbe l’ideale. Ma a quest’ora, tra Dungloe e Dunfanaghy, non c’è anima viva. Chiuso in automobile, il riscaldamento acceso, consulto le carte. La direzione è verso l’estrema punta nord di Malin Head, ma per arrivarci occorre inoltrarsi lungo una tortuosa successione di tracciati litoranei a strapiombo sul mare aperto. Sono pure in netto ritardo sulla tabella di marcia che avevo diligentemente preparato. L’acqua, il fango, le strade sconnesse mi hanno costretto a viaggiare con prudenza. Per non dire della guida a sinistra, che impone un’attenzione del tutto particolare.
Sul punto di ripartire, dietro la curva sbuca un gregge di pecore e montoni allo stato brado. È successo spesso di incontrarne, soprattutto nel Connemara. Li vedi brucare sul ciglio delle strade, oppure sdraiati nel bel mezzo della carreggiata, a fissare imperturbabili le automobili che sopraggiungono. Stavolta però mi circondano completamente, rendendo impossibile ogni spostamento. Alcuni scendono giù nella scarpata in cerca di qualche tenero germoglio. Altri si contendono i rari arbusti che affiorano dall’asfalto. Altri ancora sembrano attratti dalla mia presenza e scrutano incuriositi oltre i finestrini. Metto in moto, sperando che il rumore riesca a disperderli. Macché. L’arrivo improvviso di un’altra vettura, proveniente dal verso opposto, li raduna a ranghi ancora più stretti. Niente da fare. Devo rimanere qui, tra belati e scampanellii vari, incastrato in un presepe vivente fuori stagione. E intanto il pensiero vola a quei vacanzieri che, in questo preciso momento, stanno a rosolarsi pigri sotto il sole rovente del Mar Rosso…
(Nella fotografia: la fidata Peugeot 206, compagna di mille miglia percorse in terra d’Irlanda.)
Ultimi commenti