Trovarsi e poi perdersi, incontrarsi e dirsi addio. Persone che ci vengono incontro, si affiancano, fanno un pezzo di strada insieme – salite, curve, discese, panorami, orizzonti. Frammenti di discorsi, tracce di storie. A volte sono loro che si fermano, mentre noi proseguiamo il cammino, e restano lì a guardarci andare via, la mano sugli occhi per ripararsi dal sole. Altre volte siamo noi che ci allontaniamo, neppure voltandoci indietro a salutare, tutti intenti alla prossima meta, la mente rivolta chissà dove e perché. Sono nomi che rievocano affinità perdute, confidenze gettate come carta sull’asfalto, confessioni diventate imbarazzanti e gradualmente rimosse. Sono corpi che giorno dopo giorno sbiadiscono nei ricordi, affondando nel vapore denso della memoria. Sono voci che non sentiremo ancora risuonare familiari nell’aria. Sono mani che non stringeremo quando l’angoscia chiuderà il petto e il coraggio verrà meno. Sono occhi che non brilleranno più come stelle quando affronteremo di nuovo la sera. Rimarranno notti senza luna da sfidare insonni e senza sogni, passaggi da ripercorrere increduli chiedendoci se è stato vero. Rimarranno frasi smozzicate ormai prive di senso, indirizzi perduti in fondo a qualche tasca, fotografie accumulate nel disordine nei cassetti, poesie scritte a matita e mai rilette. Il vento scorre veloce tra le sabbie leggere del tempo. E il tempo, che pareva interminabile, si è depositato sul fondo della clessidra. Trattiene il rimorso per le parole che non abbiamo saputo dire, per quelle inutili e i silenzi crudeli. Il rimorso per ciò che non abbiamo potuto fare, voluto dare. È quanto resta quando tutto finisce, il resoconto ultimo, la pagina che si chiude, il vuoto che è lì da colmare. Siamo vite immerse nel guado che attendono smarrite il domani.