Il 30 settembre del 1977 si tiene a Roma una manifestazione di Lotta Continua che innesca violenti scontri con la destra extraparlamentare, durante i quali viene ucciso il militante Walter Rossi. La mattina del primo ottobre, un sabato, Lc organizza a Torino una dimostrazione di protesta che da Piazza Solferino si dirige verso Palazzo Nuovo, lungo le vie del centro. È composta soprattutto da studenti universitari e liceali, ma non mancano le frange della sinistra estrema. Qualcuno cerca immediata vendetta. Si respira un’aria pesante, la tensione cresce passo dopo passo tra cori e striscioni. Sui volti calano i passamontagna, compaiono cubetti di porfido, bulloni e molotov. I passanti si allontanano frettolosamente, le automobili cambiano percorso, i negozianti abbassano le saracinesche dei negozi. La polizia in assetto antisommossa spara bordate di lacrimogeni che colmano di fumo le strade.
Dal corteo principale, che sta giungendo in Via Sant’Ottavio, si staccano una decina di manifestanti. L’obiettivo è il bar-discoteca Angelo Azzurro di Via Po 46, ritenuto, a torto o a ragione, un covo di neofascisti. All’interno vi sono cinque avventori, compresi il titolare e la moglie. Qualcuno di loro fugge, qualcun altro viene malmenato. Poi gli estremisti lanciano un grappolo di bottiglie incendiarie appiccando il fuoco al locale. Roberto Crescenzio, uno studente lavoratore di ventidue anni che si trova lì casualmente, cerca scampo nella toilette. Le fiamme divorano rapidamente l’arredo, e quando il giovane tenta a sua volta di scappare si trova il passaggio sbarrato. Terrorizzato, quasi soffocato dalle esalazioni, barcolla, inciampa e cade, trasformandosi in una torcia umana. I passanti lo vedono uscire, gettarsi a terra urlando, contorcersi per il dolore. Cercano allora di aiutarlo, soffocando il fuoco con una coperta, liberandolo dei vestiti che bruciano. C’è una foto che lo ritrae agonizzante, seduto su una sedia, la pelle a brandelli, lo sguardo nel vuoto. Viene portato d’urgenza al Cto, ma la diagnosi è senza speranza: con il 90 per cento del corpo ustionato, Crescenzio sopravvive solo poche ore.
A quel tempo frequentavo la seconda media. Il lunedì seguente, la professoressa di matematica entrò in classe con un’espressione distrutta e, tra le lacrime, ci disse che Roberto era stato suo allievo. Era una donna severa, piuttosto fredda, distante, poco incline a manifestare emozioni. Rimasi perciò talmente turbato che oggi ricordo quella morte atroce, frutto del caso e dell’odio insensato, soprattutto attraverso il suo incontenibile dolore.