“Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l’uomo né le acque del fiume saranno gli stessi.”
Quando mi capita di rivedere La dolce vita riesumo Eraclito: sia io sia il film cambiamo ogni volta e ogni volta mi si aggiunge un frammento di comprensione di cui godo con sottile piacere. In fondo, anche la mia è la favola romana di un uomo inadeguato e spaesato, simulator ac dissimulator, dissoluto ma con stile. Un uomo che fa fatica ad armonizzare le proprie inquietudini con il mondo che intanto gli gira intorno. Un uomo che è la rappresentazione compiuta dell'incompiutezza.
Marcello sono io e la dolce vita è forse l'ozio di Capua in cui, talvolta o sovente, mi crogiolo fino all'ignavia.
Verrà il tempo in cui non sarà più quel tempo e questa dolce vita si dissolverà fotogramma per fotogramma fino a diventare ricordo. La dolce vita di Fellini, che già oggi non dà più scandalo e viene proiettata sugli schermi in versione restaurata, come un meraviglioso documento d'epoca lucidamente impresso su pellicola. E così la mia dolce vita personale. I volti dei personaggi felliniani svaniranno nella memoria (Marcello, Anita, Paparazzo, Steiner). Cambierò forse strada pure io - o la perderò del tutto, non so. Chissà se sopravvivrò ancora in bilico tra la lotta e il mollar tutto - non avere prospettive in fondo è come averle tutte.
La consapevolezza è il dramma di ogni risveglio. Ci si addormenta la sera tardi confidando in qualche miracolosa apparizione (Come here! Sì, vengo ovunque mi porterai), ma sono i falsi sogni del mattino, quelli che escono dalla porta d'avorio, a confonderci le idee. Solo l'inquietudine non ha età. Come la Roma notturna che ho sperimentato in un unico dolcissimo colpo d'occhio.