So bene che la questione del tempo che passa è l’argomento preferito di certi anziani panchinari, eppure pare che sia nuovamente natale. Dico “pare”, perché le pubblicità sono infarcite di prodotti ipercolesterolemici, nei supermercati si aggirano inquietanti omini barbuti e le luminarie cittadine rappresentano il bersaglio privilegiato dai soliti ignoti. Per il resto, la gente tira avanti digrignando la consueta espressione d’ordinanza.
Che cosa dire quindi? Che puntualmente ogni anno, in questo periodo, cerco invano lo spirito di quei giorni di festa che a noi, bambini beneducati, davano l'impressione di essere finalmente padroni di mattine fredde e soleggiate che la scuola ci scippava. Che ho voglia di fermarmi e mettere ancora in sovrimpressione il film della mia infanzia. Davanti agli occhi, allora, vedo scorrere le immagini della pista Polistil, del proiettore Festacolor e del Piccolo Chimico; ritornano i miei genitori trent’anni più giovani, le zie premurose, le cugine rompiscatole, i nonni che non ci sono più.
Non so se l'età adulta sia sempre stata così, ma mi sembra che il mondo all'epoca promettesse una vita più semplice che, mio malgrado, non ho mai visto arrivare. Ed oggi è tutto così difficile, così pesante da gestire, così complesso anche per le cose che dovrebbero essere facili… Paradossalmente, i marasmi istituzionali gli sconquassi economici e le difficoltà conseguenti mi sembrano tutto sommato più accettabili perché seguono una logicità storica. Provo invece una fatica sempre maggiore ad accettare la complessità dei rapporti umani, di quelli con le conoscenze quotidiane con le quali spesso si deve ballare il minuetto di un protocollo di cui mi sfugge il senso.
E allora mi ritrovo imbarcato sulla slitta di un altro natale senza rotta, in cui continuo a non avere un’idea del compito specifico se non quello che ho deciso di darmi e portare avanti a tutti i costi.