Le sagome tetre degli ulivi secolari si stagliano nel buio. Grossi rami nodosi s’intrecciano sulla mia testa, le foglie frusciano sommessamente. Percepisco sotto i passi l’asperità del suolo, le radici che affiorano, le pietre sconnesse. Respiro a fondo quest’aria sottile che, dalla valle del Cedron, il cuore risucchia attraverso i polmoni. Gli ultimi pensieri dell’anno scorrono nella penombra discreta dello Shabbat. Barlumi di luci e suoni spiovono invisibili dall’alto, ben oltre le mura possenti di Saladino. Stanotte le parole si arrestano prima ancora che le labbra le emettano. Fantasie e libere associazioni d’idee si rincorrono veloci prendendo la forma di piccole preghiere. Le ali della pace si piegano caritatevoli a riparare la mia anima fragile dai mille spilli che la trafiggono. Il profumo d’incenso rimasto impregnato nei capelli purifica i ricordi, e i piedi si lasciano accompagnare da un mistero antico. Mi distendo sulla nuda terra, poggiando il capo in un cuscino d’erba, e volgo lo sguardo al cielo. Il sonno vorrebbe vincermi, ma non è ancora giunto il momento per staccarsi da tutto. Mi chiedo cosa ci fai su quella volta traforata di stelle, che neppure so chi sei. Perché rivolgo ora a te questi pensieri incompleti che affiorano ai sensi come attratti da una forza superiore. Perché questa determinazione sconosciuta di riportarmi a te, quest’urgenza di fare comunione con il tuo spirito. Sono dovuto scendere da pellegrino fino nell’ombelico sacro del mondo per capire che solo a te devo arrivare? La notte di Gerusalemme mi risponde con il suo silenzio raccolto.
(Gerusalemme, orto di Getsemani, 31 dicembre 2004)