L’appartamento aveva l’aspetto di un loft newyorkese, tutto open space. Le pareti erano state intonacate di fresco, i tubi del riscaldamento correvano sul soffitto. Grandi finestre dal telaio in alluminio arrivavano sino al pavimento in cotto. Ai lati, poltrone e divani di pelle bianca, e bianco era anche il colore predominante. Un costosissimo impianto di amplificazione mandava musiche d’ambiente, di quelle che non si capisce la melodia. C’era gente quella sera, e l’atmosfera densa di fumo. Molti conversavano garbatamente intorno ai tavoli di cristallo allestiti a buffet. Altri accennavano disinvolte movenze di danza al centro del salone.
Fu a quel drink che vidi per la prima volta Pierre ubriaco. Lui, così morigerato, controllato, tanto da crederlo fisicamente incapace di sottoporsi a qualsiasi eccesso. Aveva lo sguardo umido, sperso nel vuoto, la giacca del tight aperta, il papillon sghembo. Teneva un gomito poggiato in equilibrio precario ad una mensola d’acciaio, mentre l’altra mano reggeva a ciondoloni un calice mezzo vuoto. Mi avvicinai e scorsi che era letteralmente paonazzo. Sudava copiosamente. Doveva aver bevuto tantissimo. Gli feci un cenno di saluto col capo, ma non lo ricambiò. Indirizzai allora lo sguardo nella direzione in cui l’aveva puntato lui, e capii che stava osservando Stéphanie ballare con un uomo. Rideva felice con leggeri movimenti del capo all’indietro, la bocca semiaperta, i denti bianchissimi, una morbida cascata bionda sulle spalle nude, l’abito azzurro che le fasciava i fianchi. Un angelo.
<< Per stare con lei c’è la fila. E io non mi ci metto nemmeno>>, disse senza vedermi. Provai a scherzare. << Geloso? >> Voltò la testa strabuzzando gli occhi. << Chi, io? Ma figùrati. Non so neanche cos’è la gelosia. E non mi mancano le palle, se è questo ciò che pensi. Tutte cazzate. C’è ben altro >>. Sollevò il bicchiere davanti alla mia faccia, l’indice puntato, e assunse un tono vagamente declamatorio. << Questione di chiarezza. Di chiarezza nei comportamenti. Questo conta nei rapporti umani. La chiarezza >>. Cercai di farlo ragionare. << Finiscila. Hai una famiglia, una casa, che cosa vai a cercare in giro >>. Fece una smorfia. << Se è per questo, lascia perdere sennò mi sbronzo ancora di più >>. << Ma è una ragazzina, ha quasi la metà dei tuoi anni. Non ti rendi conto? >>. << Che cazzo significa. >>, proruppe lui, strascicando penosamente le parole. << Io sono vivo! Ho un cuore che pulsa! Come si fa a mettere in naftalina la voglia di amare. Nel contratto mica c’era scritto: il contraente s’impegna a non innamorarsi più! E a chiudersi in una bara! >>. Sospirai. << Capisco. Evidentemente però lei non ti vuole >>. << Fino a ieri invece sì. Se adesso non mi vuole più, me lo viene a dire in faccia. Non mangio nessuno, non ho mai mangiato nessuno. Al massimo: ciao ciao, buona fortuna e via. Sono diventato troppo saggio per prendermela >>. << No >>, replicai con tono accorato, << sei solo troppo vecchio oltre che troppo bevuto >>. Reagì, furioso: << Sto che è una bellezza. Mai stato meglio. Se l’avessi saputo prima, adesso sarei io l’alcolista in trattamento. Alcolista in trattamento con dosi massicce di etanolo >>. << Straparli. Basta, andiamo >>. << No. Io non vado via fino a che non mi dice come stanno le cose. Era un gioco? Va bene, cara, ma anche un gioco ha delle regole >>. Uno spasmo mai visto gli contraeva la guancia sinistra. << Smettila. Sei patetico. Davvero. Un vecchio rincoglionito >>. << Ehi, giovanotto! Un po’ di rispetto per i vecchi rincoglioniti! >>.
Alcuni ospiti si misero a fissarlo con aria disgustata. << Parla piano. >> feci io posandogli una mano sull’avambraccio. << Non ti accorgi che stai facendo una figura di merda? Non hai un po’ di dignità? >>. << No, questo no. Non te lo permetto. >>. La sua voce divenne improvvisamente severa. << La dignità non me la toccare. È tutto quello che ho e ne vado fiero. Se però dici che la sto perdendo, allora me ne vengo via con te >>. L’avevo convinto. << Oh… Forza, su. Dammi le chiavi che guido io. Sei fradicio da far pietà >>. << Non sai quanto mi odio… >>, biascicò allora lui. << Da quanto hai bevuto, ne ho idea >>. << … e quanto soffro >>. << Certo. Ma stai attento, che inciampi >>.
Fu allora che vidi Pierre compiere un gesto talmente patetico che, nel raccontarlo, ogni volta provo per lui un sentimento di profonda compassione. Non so cosa gli passò nella testa, ma sono assolutamente certo che non fu per la sbornia. E neanche per compiere un ultimo sberleffo – se non, forse, rivolto a se stesso. Giunti alla porta d’ingresso, io la spalancai per farlo passare. A questo punto si divincolò leggermente da me che lo sorreggevo, e si voltò verso la sala. All'improvviso eseguì un profondissimo inchino, accompagnato da un movimento semicircolare del braccio destro dalla testa al pavimento. Gli astanti, esterrefatti, rimasero immobili a guardare. Giusto qualche risatina sommessa. Poi, rialzando lentamente la schiena e portando con eleganza la mano sul cuore, rivolse uno sguardo stralunato ma fermo a Stéphanie e intonò: << Chicchiricchì… >>.
(Scritto tra il 24 e il 25 novembre 2004)