In questa stazione d’eco e di passi, scaldando una panca della sala d’aspetto, il bavero rialzato, le mani chiuse nelle tasche. Uno sguardo all’orario acceso sull’orlo della banchina. Di quanto altro ritardo si riempirà stanotte il nostro incontro? L’esserci ritrovati varrà più del troppo tardi? Ma il tempo io lo misuro in fiato e caffè. Quasi ti vedo su quel treno. Negli anni ti avrei disegnato così, senza aggiungere o togliere nulla. Un libro aperto fra le mani, occhi che attraversano la penombra, un sentimento segreto cui appendere i pensieri. Forse ti specchi nel vetro riflesso di facce sconosciute, e dentro ci recuperi il mio nome. Che cosa avrai messo in valigia? Poco fa qui c’era un vagabondo, seduto di fronte a me. Rideva qualcosa tra le rughe e i denti guasti. Mi ha chiesto una sigaretta con accento slavo, si è messo a parlare di certe faccende poco prudenti. Se n’è andato all’ingresso dei cani della polizia ferroviaria, scomparendo oltre i vagoni fermi allineati come bare. M’invii messaggi di baci che illuminano quest’attesa temeraria. Ti piacerebbe la nostra storia. La ripeto a mente immaginandoti mentre l’ascolterai, in silenzio, appuntando sulle labbra le parole. Così sei entrata nel mio mondo. Quello scritto e quello non scritto. La tua scelta di accadere iniziò da lì, senza chiedere permesso, porre alcuna domanda. Ed ora ti metto in ogni racconto per sentirmi addosso che è tutto vero. Non si può mai sapere quali ragioni il destino tenga in serbo. Magari ha deciso di vendicarsi proprio con me, e forse su quel treno neppure sei salita. Magari non esisti, magari vivesti e ora non più. Magari sei una semplice invenzione della mia follia, la fame con cui sbriciolo la mia fredda sosta sul bancone del bar, o quest’assenza che per comodità chiamo sogno. Magari. Un fischio insolente si spiana nella nebbia e la fermezza lungamente istruita cede di schianto. La voce dell’altoparlante rimbomba un numero, la provenienza, il binario. Il tempo trascorso smarrisce subito memoria di sé. Ti prego, amore, arriva veloce adesso. Voglio vederti scendere, fendere la gente, stringerti, sentire che ci sei, che ritorni per me. Nessun ritardo, stanotte.
(Milano Centrale, 2 Febbraio 2007)