Tre lunghe sequenze alternate per raccontare altrettante storie che si svolgono contemporaneamente. Un rampante senatore repubblicano di Washington concede ad una giornalista televisiva l’esclusiva su una nuova iniziativa militare in Afghanistan. Un professore universitario idealista si confronta con uno studente sveglio ma nichilista, e cerca di convincerlo a reagire all’apatia. Due ex allievi dello stesso professore pagano con la vita le fallimentari strategie di combattimento in Afghanistan e la scelta coraggiosa di impegnarsi per il proprio Paese.
Leoni per agnelli punta il dito sulla profonda crisi d’identità che stanno attraversando gli Usa, ma il nobile intento e lo sforzo ammirevole nel realizzarlo sono vanificati dalla semplificazione didascalica di eventi e prese di posizione. Redford fa fervoroso sfoggio di quella che si potrebbe definire la retorica dell’antiretorica, tipica di certi ambienti liberal-chic, senza analizzare compiutamente le questioni in campo. Come tutti i film a tesi, anche questo sconta un’eccessiva verbosità che convince solo chi lo è già e non fornisce spunti originali di riflessione. La conclusione che se ne trae – tutti, politici, giornalisti, professori, risultano alla fine perdenti e perduti, tranne forse le nuove generazioni cui viene concesso un barlume d’autocoscienza – appare convenzionale. I tre giorni del condor e Tutti gli uomini del Presidente (in cui Redford era protagonista) rimangono esempi insuperati di un cinema politico compatto e incalzante che, oggi, solo documentaristi come Moore riescono a fare. E soprattutto ci mancano grandi registi che sappiano affondare lo sguardo nell’orrore di questa guerra infinita così come accadde per il Vietnam.
Leoni per agnelli (Lions for lambs) di Robert Redford con Robert Redford, Meryl Streep, Tom Cruise (USA 2007, 91’)