“Perché è così difficile distaccarsi da ciò che fa male?”. Non so quante volte ci ho riflettuto in questi giorni. Adesso ripeto a bassa voce parola per parola, impastando i suoni col retrogusto morbido di un rosso locale. Amavo quel sapore nella sua bocca. Fuori c’è un vento teso, di quelli per cui la giacca non serve a niente. C’è poca gente in giro a quest’ora, e quella dentro il pub ha il viso che si specchia nei bicchieri.
“È successo tante volte anche a me, Pim”. La cameriera fa il giro dei tavoli a prendere le ordinazioni. Quant’è che ci conosciamo, Viviana? Fa uguale, sei sempre bella, anche ora a quarantacinque anni. L’ampio scollo rotondo risalta nel barlume affumicato che le candele ci proiettano addosso. “Non esagerare con il vino, che poi ti devo riportare di peso in hôtel”, scherzo. “Questi salumi sono ottimi, ma troppo piccanti”. “Allora ti faccio compagnia”. “Hai già chiamato tua moglie?”. “Stava per andare a letto. Mi ha chiesto del convegno, con chi sono”. Proietta il suo sguardo scuro sopra la bottiglia. “Si fida?”. Me l’aspettavo. “Non dovrebbe?”.
Anche se mi prendessi il cuore, Viviana, non ti apparterrebbe lo stesso. Sarebbe appena un brandello di muscolo appiccicato addosso che si muoverebbe per conto proprio. Non puoi sempre rubare le storie altrui fingendo che si adattino a te. Perché questo sbatterti dentro alle vite che non ti spettano con così poca noncuranza. Ci sono altri modi con cui puoi catturarmelo il cuore. Ad esempio restando qui, mettendo insieme i nostri discorsi, trovando un filo logico che ci somigli almeno un po’.
“Sei triste. Ti ho visto oggi, davanti a Santa Croce. Eri da un’altra parte”. “In un altro tempo. Ero in un altro tempo”. Se volessi, avrei da raccontarti una favola alla quale faticheresti a credere. Comprenderai però la ragione per cui non rompo il sigillo. C’è inciso sopra il mio nome, e il suo. “Devo dirti una cosa, Pim”. “Eccomi”. “Tu non sai toccare le cose senza poi farti male. Difenditi. Difenditi senza smettere di sentire”.
Una volta il cuore mi ha tradito, Viviana. Stavolta non parlo di sentimenti. Sono entrato in qualcosa che non è esistere, e chissà come sono ritornato. Avevo ventun anni. Soltanto dopo mi sono ricordato che cosa desiderassi di più. Quando penso al mio cuore, ora non penso che si sta indebolendo, rompendo di nuovo, nello stesso punto. Penso alle stazioni ferroviarie in cui mi sono fermato per ascoltarlo battere, ai letti in cui l’ho lasciato rotolare libero, il sangue della vita dentro le vene, nel petto stelle e profumi. Era al sicuro. Lo teneva insieme lei, il mio cuore. Tra noi nessuna frontiera. Ecco perché non posso più difendermi. “No, non è possibile”.
Viviana mi stringe le mani, le dita umide tradiscono l’emozione. Poi si alza leggermente dalla sedia, inclina il busto in avanti e mi alita nell’orecchio un sussurro che sembra uno sbuffo. Sorrido. “Non farci caso, ho bevuto” e si siede di nuovo. “Capita, mica è proibito”.
(Febbraio 2008)