Dalla finestra aperta entra il motore di un trattore che si trascina nel campo vicino. Arrivato al fondo, inverte la marcia e ripercorre borbottando il passaggio appena aperto. Frammenti d’erba e margherite si alzano nell’aria, spirali intrise di odore di letame. Eli gironzola nuda per la stanza. Prende un bicchiere, versa un po’ d’acqua dalla bottiglia e l’avvicina alle labbra. Alcune gocce colano sul mento, poi le cadono sul seno. Ride, spudorata. Si capisce che ne ha ancora voglia. Io invece ignoro perché sto facendo tutto questo, per quanto cerco di non darlo a vedere. Forse perché è qualcosa di contrario ai miei propositi e che nessuno si aspetterebbe mai: l’irresponsabilità, ecco ciò che affascina di più. Come se la vita fosse una prolungata vacanza in campagna, fare sesso spensierato con una ragazza che non si ama, riservarsi la facoltà di non decidere ancora. C’è soltanto aria, e tempo infinito in ogni direzione. Vorrei provare rimorso, o pena, invece dal suo corpo che fa cigolare il letto viene un appagamento inconfessato. No, zitta, zitta, ti prego. Non dire niente. Il suo alito caldo mi scorre sul petto e più in basso. Non farmi pensare al giorno che seguirà.
(Diano d’Alba, primavera 1993)