Ricorre oggi il centenario della nascita di Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 9 settembre 1908). Per l’occasione riporto un suo testo singolare che traggo da “Il Materiale e l’Immaginario” (Loescher Editore). Si tratta di un abbozzo di soggetto per un film (mai realizzato), comunicato in una lettera all’amico Carlo Mosso il 15 marzo 1948, che si presenta come una specie di concentrato tematico della sua opera. Si ritrovano il rapporto città – campagna, quello fra il mondo del lavoro e il mondo dell’impegno politico, i riti d’iniziazione dell’adolescenza, la mimetizzazione americana di paesaggi e personaggi tipicamente piemontesi.
<< Ambiente fluviale. Anzi due: il traghetto di un paese rivierasco (Pontestura-Trino, a esempio) e un traghetto torinese. Il protagonista diciannovenne, che chiameremo Pero, è figlio del traghettatore di Pontestura, e dà una mano anche lui a menare il grosso remo del barcone legato al filo, che traghetta mondariso, mercanti, operai. Lavora, gira sulle piazze, sulle feste. Osserva tutto, le risse, gli amori, gli affari. È un “distaccato”, un contemplativo, gli ripugna impegnarsi. Guarda e sorride. (Possiamo fargli girare tutte le colline intorno, un po’ di Paesi tuoi). Può anche avere un amoretto, ma sempre restando “distaccato”. Non s’impegna, sorride.
Succede che in paese i giovanotti ce l’hanno con quelli di un altro paese oltrePo, e vorrebbero picchiarli. Interpellano anche Pero. Macché, dice lui, "io ci vivo traghettandoli". In realtà è perché lui "contempla". Insistono. Lo dileggiano. Niente. Succede poi la rissa tra i due paesi, magari grave, col morto; Pero continua a traghettare e non muove un dito.
Allora in paese lo scherniscono forte. Anche la ragazzola con cui parlava prima. Gli fanno la vita impossibile. Pero se ne parte.
Torino. Pero arriva a casaccio. Gironzola. Sono qui possibili molti spunti di scoperta, d'ambienti (caffè, strade, ecc.). Lavoro in fabbrica. Effetti di stanchezza e d'allegria. Pero "contempla" sempre. Litigio tra colleghi. Pero picchia sodo. Non è vigliaccheria la sua, è "distacco". Rifiuta insomma ogni azione collettiva. È il piemontese tipico, individualista, silenzioso. I colleghi operai tentano approcci politici (siamo all'ultimo anno prima della guerra), niente. Lo guardano per traverso. Intanto Pero è capitato sul Po, oppure è alloggiato in corso Moncalieri, di dove per andare al lavoro (Fiat?) traghetta mattino e sera. Si fa amico del barcaiolo che ha, sulla riva destra, la sua casetta, ed è vecchio, comico (un certo Tofo, morto da poco, va benissimo). Incomincia quello che è il senso segreto di Pero: gli succedono sempre le stesse cose. Rivive in sostanza come traghettatore, va e viene, diventa erede del vecchio. Quando questo muore, resta lui padrone. Vita di fiume.
Intanto la nuova ragazza (che possibilmente somiglia a quella di Pontestura) con cui passeggia, prende evidenza. È operaia. Conosce operai, e conosce quelli che tentavano approcci politici con Pero. Li frequenta al punto che Pero è geloso. Di uno, in specie, un tipo cittadino, irritante e superiore. Inoltre questa Marisa ce l'ha con Pero perché non lavora in fabbrica e non guadagna di più. Poi si sposano.
Viene la guerra. Rapide scene che liquidano la guerra, il disastro, l'8 settembre (tutto ciò informativo, il film non è di guerra né di vita clandestina). Pero torna e ritrova la casetta del traghetto e Marisa, e vive quieto. Ma, ecco, - tono giallo - ricompare il collega che lo ingelosiva, ricompare misteriosamente (magari soltanto per segni). A Pero girano le scatole. Effetti di tesa
sospensione. (Questo rivale, chiamiamolo Agrippa, somiglia magari al caporione di Pontestura che l'aveva schernito). Marisa si spiega. Parla a Pero della lotta clandestina, lo incita, gli dice che i vecchi colleghi lo vorrebbero con loro. Pero alza le spalle ("contempla"). E si secca.
A farla breve. Un giorno Marisa gli propone di trovarsi la notte dopo con la barca sulla riva sinistra per traghettare i clandestini e Agrippa, che avranno fatto un sabotaggio in Torino (in fabbrica). No, dice Pero. Scena tesa e penosa tra i due.
Nella notte Pero s'accorge che Marisa è scomparsa. Salta in barca, raggiunge la riva torinese, e trova la barca di lei che aspetta i clandestini (il sospetto di gelosia di Pero ormai è passato, ha capito la situazione). Arrivano i clandestini inseguiti da colpi di mitra. (I tedeschi inseguitori non si devono vedere, in armonia col resto del film che non è politico). S'imbarcano tutti a casaccio. In mezzo al fiume sono illuminati dall'incendio di una piccola tettoia che serviva a riparar dalla pioggia i clienti in attesa del traghetto. Quando toccano la loro riva, al riflesso lontano Pero s'accorge che manca, sola, Marisa. Torna indietro a nuoto. La trova colpita, morta o morente. Stringe il pugno, fa gli occhiacci, giura di vendicarsi, e si rituffa nuotando, o sulla barchetta di lei, nella luce dell'alba o qualcosa di simile, verso i compagni con cui stavolta agirà >>.