(E-mail ricevuta il 26 settembre 2004)
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Caro P.,
I giorni di Venezia sono passati e, ormai, sembrano appartenere ad un secolo fa. Inutile dirti che la fatica è stata tanta. Vedere quattro o cinque film al giorno disabitua alla luce, fa perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Una sera ho visto in sequenza 'Le chiavi di casa' e 'La terra dell'abbondanza'. Da lì ho cominciato una mutazione genetica e cominciavo ad assumere le sembianze del conte Orlock. Per il resto che dire? Professionalmente è stata un'esperienza entusiasmante: giornalisti da tutto il mondo (a proposito: in Italia non siamo messi poi così male) e, film a parte, incontri, convegni, conferenze dove si parla, parla e parla come se fosse un grande forum con persone in carne, ossa e celluloide.
Ho visto personaggi che mai mi sarei sognato di vedere in vita mia. Nicole Kidman, Steven Spielberg, Dante Ferretti, Tom Hanks, Tom Cruise, Vittorio Storaro, Denzel Washington ed Enzo l'edicolante, veneto da sette generazioni col pedigree garantito dalle ultime analisi del sangue: puro vino fatto in casa di 12,5 gradi. Insomma, quando mi sono ritrovato sulla terrazza dell'hotel Excelsior (con cinque euro in tasca e un conto in banca che commuoverebbe anche un avvocato), seduto ad un tavolo a chiacchierare amabilmente con Al Pacino (indisturbati: i suoi scagnozzi non lasciavano avvicinare nessuno pensando che fosse un'intervista) ho pensato che, come in un film, fossi stato catapultato tra le pagine di uno di quei magazine che leggono le signore quando sono dal parrucchiere.
Insomma, più divertente che bello, insolito, onirico, lunare. Dalla prospettiva di giornalista è una dimensione che sfugge alle possibilità di comprensione comuni.
Sono aspetti da rotocalco, è vero, e ho capito perché molti critici (anche quelli del più sfigato sito internet) si sentono Vip. Per non cadere nella lusinga, cercavo di non dimenticare ***, una frazione a tre chilometri da Roma dove il mio (piccolo) giornale è l'unica voce dei cittadini (zingari, immigrati africani, cinesi, frutti delle periferie romane con una fedina penale per la quale ci vorrebbe la Cayenna di Papillon) e l'unico mezzo per sapere cosa gli succede intorno.
E' stato interessante conoscere i critici dei giornali che leggiamo. Il migliore è Roberto Nepoti di Repubblica (un vero signore) ed ho parlato lungamente con lui circa la sfiducia nei loro confronti che ha 'il popolo del cinema'.
Il fatto è che vivono in queste dimensioni totalmente parallele e scollegate dal mondo reale e, quindi, dal pubblico. Sono contesti in cui la sala con la proiezione per il grande pubblico è lontana, assume quasi - lo dico nel senso migliore - una connotazione troppo plebea per essere presa in considerazione. E qui c'è l'errore. Per chi è un film se non per il pubblico? E come può un critico giudicare un'opera senza sentire l'odore della sala? Insomma, è stata un'esperienza illuminante per tante cose, per sfatarne altre (i critici cinematografici - tranne la Aspesi che scrive sottodettatura di un medium - si fanno un mazzo così. Scusa il francesismo) e tutto sommato per saldare l'amore per il cinema che, nonostante il cicaleccio cialtrone che a Venezia diventa baccano, rimane secondo me l'arte più bella del mondo.
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Ti abbraccio
A.