Faccio fatica a confrontarmi con la figura di Federico Fellini. Mi trovo in seria difficoltà se devo dare un giudizio complessivo sulle sue opere. È strano, non riesco a prendergli le misure. Lo paragono ad un enorme armadio, pieno di ante, cassetti, ripiani, scompartimenti nascosti, doppi fondi. Oppure ad una montagna piena di sentieri misteriosi e passaggi curiosi, senza una via maestra che permetta di scalarla agevolmente.
A quindici anni dalla scomparsa, avvenuta il 31 ottobre 1993, il primo pensiero che mi viene alla mente è che il suo è stato un lungo meraviglioso viaggio nell’immaginario, individuale e collettivo. La produzione artistica, sosteneva sulla scia di Jung, non è altro che l’attività onirica dell’umanità. Il pittore, il poeta, il regista rispondono a questa funzione: elaborare, organizzare col proprio talento i contenuti dell'inconscio collettivo, scandagliarli, e poi rivelarli sulla pagina, nella tela, sullo schermo. Fellini ha fatto dell’autobiografia un processo di conoscenza: cercava se stesso, ma ha saputo rivelare i fantasmi che abitano in ognuno. Un cammino spirituale, religioso nel vero senso del termine. Dalla propria infanzia attinse largamente ricordi ed umori. Pasolini avvicinava la sua poetica a quella del fanciullino di pascoliana memoria: un eterno ritorno all’infanzia come rifiuto dell’età adulta, negazione della fantasia e della magia. Fellini ha sempre dichiarato la propria identità di uomo mai cresciuto, che racconta bugie, non distingue il sogno dalla realtà. Ma questo è uno dei punti di forza e di bellezza della sua arte, fatta di libere associazioni, di rovesciamento della logica. Sul trionfo dell’inconscio ha costruito un’originale visione del mondo. Anche la rappresentazione che ha fatto delle donne è stata quella di un bambino che non è mai diventato grande. Le incontrò soltanto nell’immaginazione, favoleggiate, adorate, temute. Apparizioni di un attimo che serbano in sé il mistero insoluto del sesso, catturano ma non si fanno prendere. Oppure eccessive, smisurate, voraci gigantesse che con la loro ipertrofia mammaria raccontano la nostalgia della figura materna.
Ora pare che per le fiabe felliniane il tempo sia scaduto. Nella memoria già svaniscono i volti di Gelsomina, di Cabiria, di Anita, di Marcello e Titta, di Casanova e dei Vitelloni. Il nostro Cinema ha cambiato strada – forse l’ha perduta del tutto. Fellini è entrato in un cono d’ombra silenzioso, appartato. È ancora amato, rispettato, certo: ma pochi vanno a rivedersi i suoi film, aquiloni abbandonati nel vento dalla mano di quell’adulto-bambino che non c’è più. Sarebbe ora di ritornarvi. Fellini se n'è andato, rimaniamo noi spettatori, con il nostro eterno desiderio di sognare. Sebbene il ritorno alla consapevolezza sia il dramma di ogni risveglio.