
Il Santo Sepolcro è venerato dai cristiani come luogo sacro per eccellenza. Riunisce infatti in un unico corpo architettonico il luogo della morte e della sepoltura di Gesù, includendo il sito del Golgota e del sepolcro. La basilica fu terminata dai Crociati nel 1149 sui resti di precedenti edifici, ma le pesanti trasformazioni cui è stata sottoposta nei secoli l’hanno stravolta. La pianta originaria si presenta profondamente alterata, le tre navate non appaiono più riconoscibili, l’austero interno somiglia più che altro ad un antro tenebroso.
La suddivisione del 1757 in tre settori assegnati a francescani, greco-ortodossi e armeni ha contribuito non poco a peggiorare le cose. All’ingresso, dove si trova la Pietra dell’Unzione, sulla quale il corpo di Gesù sarebbe stato lavato, gli ortodossi hanno edificato una parete fittizia con un mosaico a dir poco orripilante. Alle rimostranze dei francescani hanno fatto spallucce: embé?, viene da Faenza.
L’Edicola del Santo Sepolcro, luogo della sepoltura e della resurrezione, il sancta sanctorum della cristianità, è un’altra bruttura inimmaginabile: ricostruita nel 1810 dopo un incendio, pare una bottega di arredi sacri. La visita è gestita con modi autoritari dai greco-ortodossi: ci si deve mettere in coda ma spesso si perde il turno, scoprendo che qualcuno di loro ha la precedenza, e, terminato l’orario, si è cacciati senza tante storie. Attraverso passaggi angusti, da brivido, si può salire sul tetto dove sono state confinate le chiese dei copti e degli abissini, tenute in uno stato miserando.
I rapporti tra le tre comunità cristiane sono improntati da sempre ad un odio neppure tanto cordiale. Di frequente avvengono scazzottate e quella di domenica è soltanto l’ultima in ordine di tempo. Generalmente sono proprio gli ortodossi a menar per primi le mani: stavolta ci sono finiti di mezzo gli armeni ma in altre occasioni è capitato ai francescani avere la peggio. Non è raro che debba intervenire la polizia israeliana e qualche religioso finisca in ospedale per essersi beccato un pugno in faccia o un turibolo tra capo e collo. Perché non si tratta soltanto di tuniche stracciate, occhiali rotti, capelli strappati: qualcuno tira pure candelabri, ceri, icone e, persino, pietre.
I motivi sono molteplici, tutti risibili: lo sconfinamento in un settore non di competenza, la coincidenza di alcune festività, il calendario delle celebrazioni non rispettato, lo sforamento dei tempi ad esse concesse.
Esiste attualmente una questione riguardante i necessari lavori di restauro. Nel 1964 un intervento pacificatore di Paolo VI permise alcune opere di consolidamento, ora ne occorrerebbero altre per scongiurare un rischio di crollo. Alcune comunità temono però di veder ridotto il proprio settore, e non si può dire che Papa Ratzinger sia qui molto amato…
Gli incidenti tra i monaci non sono quasi mai occasionali, le provocazioni invece continue e senza esclusione di colpi. Posso raccontarne una cui ho avuto modo di assistere. Le funzioni religiose si svolgono negli stessi orari in modo da produrre un disturbo reciproco. Poiché i greci-ortodossi officiano cantando con potenti voci baritonali, negli anni scorsi i francescani sono riusciti ad introdurre nella propria cappella, di nascosto e pezzo per pezzo, un organo gigantesco. Adesso, durante la celebrazione della messa, la musica copre tutto con un frastuono indescrivibile. Compresi i flebili canti dei poveri armeni.
A complicare ulteriormente il quadro, il terreno sul quale sorge la basilica appartiene alla famiglia musulmana Nuseibeh cui le tre confessioni pagano l’affitto. Ogni sera, alle diciassette, si svolge una piccola cerimonia di chiusura che raduna molti turisti, naso all’aria e flash sfolgoranti: uno dei Nuseibeh, seguendo un breve rituale, chiude il portone a chiave, se la mette in tasca, fa ciao ciao e se ne va. All’interno è consuetudine che rimangano di guardia tre monaci, i quali si guardano in cagnesco per tutta la notte e non perdono occasione per farsi dispetti d’ogni sorta.