Neve! Neve densa, placida, lenta, la retorica neve « a larghe falde » della terza elementare, che scende pigra in un'aria dolce, quasi tepida, s'adagia sul selciato, lo riveste d'uno strato asciutto, soffice come un tappeto persiano; la neve, il fenomeno che adoro fra tutti, quello che nelle terre del sole mi fa rimpiangere i nostri rigidi inverni con una nostalgia senza nome. […]
Torino dorme da qualche ora sotto il candore del suo manto silenzioso; non un veicolo passa, non s'ode una voce; rade figure di manovali addetti allo sgombero, d'impiegati che s'avviano all'ufficio. Sono le quattordici; la folla cittadina dev'essere tutta al riparo, sotto i portici di Po.
Mi piace quest'abolizione momentanea di ogni traccia di moderno progresso. Le rotaie sono sepolte nessuna automobile, nessuna tramvia, nessuna svelta figura di donna... Si può dimenticare il presente. Via Garibaldi, Piazza Castello, Via Roma, Piazza San Carlo, immutate nella loro linea secolare, fatte più arcaiche, più sicure dal contrasto abbagliante, mi fanno sognare « l'anno santo », l'anno della Prima Assemblea, quel 1861 che l'Esposizione imminente sta per celebrare. La neve copre la città di un'immensa pagina bianca sulla quale è facile disegnare le più strane fantasie, resuscitare la cosa impossibile — anche impossibile a Dio! —; resuscitare il passato.
II centro di Torino, cioè tutta la parte secentesca della città, specialmente in un giorno senza date come questo, offre al sognatore una corrente di ricordi, di immagini care e gloriose. E si può vedere ciò che si vuole. Carlo Alberto affacciato alla Loggia del palazzo reale in atto di bandire la guerra per l'indipendenza; i commissari austriaci del '59 che portano l’ultimatum al presidente del Consiglio; i corrieri che recano le notizie delle battaglie di Goito, di Pastrengo, di Palestro; le deputazioni dell'Italia centrale che portano i voti del plebiscito; e ad una cantonata Massimo d'Azeglio; e in fondo ad una via, Cesare Balbo, qui il Brofferio, là il Berchet, laggiù il Gioberti, incontrar sotto i portici il conte Cavour che va al Ministero, dandosi la storica fregatina di mano.
Oimè! Non il conte Cavour incontro, riparando da via Roma sotto i portici di piazza Castello, ma Jeannette, la quale con la sua svelta figura moderna mi trasporta dai miei sogni di patriottico passato, in quanto c'è di più presente, di più febbraio 1911...
— Pardon, signore! Oh! Sei tu? — e si ferma e ride e mi toglie di testa il cappello sul quale la neve ha innalzato una specie di tiara candida; lo scuote, me lo riporge: — Senz'ombrello, con questa neve! Dove vai?
Jeannette mi dà del tu, ma esuli fin d'ora ogni sospetto di galanteria. Siamo coetanei e amici d'infanzia. […]
— All'Esposizione.
— Che matto! — poi, dopo qualche secondo d’esitazione: — E se venissi anch'io?
— Saresti matta anche tu.
— Allora vengo.
— E all'atelier? Jeannette scuote le spalle, con un sorriso di sdegno. La prima direttrice può ben permettersi qualunque vacanza e qualunque infrazione di orario. Ed eccoci sul Corso Vittorio Emanuele, stretti sotto l'ombrello.
— Sono stata a Parigi tre settimane per fiutarvi le mode primaverili. Ne sono ritornata martedì. Ho fatto anche un giro — vizioso, questo — fino a Berlino.
— E che effetto ti fa la nostra piccola Torino, dopo le grandi capitali?
— Ah! Torino! Torino è sempre la più bella città del mondo!
E quell'elogio, gridato ad alta voce tra i platani dell'immenso viale deserto, quelle parole entusiaste che partono dal cuore di una piccola popolana che la fortuna ha travestita da gran signora, hanno un che di patriottico e di solenne, più commovente assai del discorso accademico d'un magnate in coda ed in cilindro.
— Mio caro, ho visto il Tiergarten di Berlino, il Prater di Vienna, i boschetti del famigerato Bois de Boulogne: ho di ognuno qualche ricordo assai tenero. Ma nessuno è bello come il parco del Valentino, non so perché...
Io so perché. Nessun parco delle metropoli europee racchiude in così poco spazio tanta armonia di proporzioni, tanta grazia e varietà di linee; nessuno compendia i panorami naturali d'uno sfondo di colline armoniose lambite e riflesse da un fiume regale, nessuno aduna tanta varietà di scenari: Superga, il Monte dei Cappuccini, il profilo secentesco del palazzo del Valentino, il profilo turrito del Borgo e del Castello Medievale e, ultimo, eccelso, la cerchia delle Alpi, dominanti le masse degli alberi secolari. Siamo giunti sul corso Massimo d'Azeglio. Oimè! Nulla di tutto questo si vede, oggi. Oggi è il giorno del silenzio e dei velari candidi. Si pensa a quanto c'è di più bianco e di più soffice al mondo, alla bambagia, alla farina, alla cipria. La neve non cade più da qualche istante, ma è diffusa, sospesa dovunque, abolendo ogni traccia ed ogni prospettiva; dove le case cessano, è quasi impossibile orizzontarsi; gli alberi soli, emergenti neri sullo sfondo candido, tracciano la via verso la città sconosciuta.
Si prosegue, affondando in quell'ovatta soffice e asciutta, ed io guardo le scarpette Luigi xv della mia compagna, sottili, scollate e rabbrividisco al biancheggiare della pelle sul traforo della calza di seta verde.
— Jeannette, vuoi che si ritorni? È da pazzi proseguire...
— Il ritornare sarebbe da vili. E ormai siamo giunti!
(Guido Gozzano)
Ultimi commenti