Non so mai come vivere questi giorni di frenesia che per me – amante della ripetitività di quelli qualunque – segnano l’apogeo della stagione meno congeniale. È in questo periodo che devo subire la sinistra brevità delle ore di luce, il sole basso sul parabrezza sporco, le buche nelle strade extraurbane.
L'anima oscilla tra la sensazione ludica e cattolica, retaggio dell'infanzia, e quella disincantata propria dell'età adulta. Quando penso che dovremmo essere tutti più buoni guardo in campo lungo la mia famiglia. Totò irrompe alla mente: << Non c'hai padre? Non c'hai madre? E tu sei nato con la camicia, figlio mio... >>.
Alla fine si rimane fermi sul posto, perché nessuno riesce a salvarsi dal buonismo melenso alla Frank Capra. A Natale, si voglia o no, tutto congiura per farci desistere e deporre le armi. Al massimo si può trovare rifugio nell'illusione di festeggiare il solstizio d'inverno – e la cucina druidica di mia sorella è d'aiuto in questo.
Alla fine non sappiamo neppure che cosa desideriamo veramente. Dovremmo imparare ad avere meno aspettative? O forse a dare più tempo e credito alla speranza?