Piove. Sembra di stare sotto un gigantesco annaffiatoio che sciacqua da ogni dove. Le scarpe fradice sciabordano sui marciapiedi sconnessi pieni di pozze. Le automobili sono motoscafi e spruzzano onde che s’infrangono addosso ai pedoni in attesa ai semafori. Una bava luccicante s’ingorga nei tombini già intasati.
Cammino veloce, schivando quanto posso il malumore arrecato da questo diluvio e qualche pensiero inopportuno che brontola dentro lo stomaco. Provo un odio istantaneo nei confronti di tutta la gente che incrocio. Mi costringe a fare acrobazie da circo con l’ombrello che, ad ogni inclinazione, scarica addosso tutta la pioggia da cui ero riuscito a ripararmi.
Passo davanti ad una piccola edicola illuminata. Getto nella vetrina uno sguardo rapido, distratto. Faccio ancora alcuni metri, poi, folgorato da una tardiva agnizione, mi blocco di scatto, mi volto e torno indietro. No, non ho sognato. Esposta c’è in vendita la videocassetta di un film che vidi dieci o forse ventimila anni fa.
Chucky, la bambola assassina.
Già vedo le vostre facce farsi perplesse. Eh? Questo qua si è ammattito?
Massì, Chucky. Quel pupazzone molesto alto come uno sgabello, che si dilettava a scannare malcapitati sghignazzando come la De Filippi con la laringite. Fu protagonista di una vera e propria saga cinematografica. Non proprio Star Wars, ve lo concedo, però come epoca siamo lì.
La videocassetta è quella del primo capitolo della serie. Lo ricordo vagamente ma, riprendendo il cammino con cadenze meditabonde, i neuroni infradiciati me ne proiettano qualche sequenza nella corteccia cerebrale.
Tutto ha inizio con un poliziotto che uccide un serial killer in un negozio di giocattoli pieno di pupazzi Chucky. Mentre tira le cuoia, il killer trova il tempo di esercitare un rito voodoo con cui trasferisce l’animaccia sua dannata nel bamboccione che, tramutatosi in una sorta di Cicciobello vendicativo, si mette a far fuori tutti quelli che incontra e nei modi più tremendi possibili. Il povero gagno che l’aveva acquistato viene accusato dalla polizia, ma ogni volta che ‘sto disgraziato tenta di spiegare come stanno le cose nessuno gli crede. Avrebbero dovuto? Per farla breve: dopo svariate traversie, poliziotto, bimbo e mamma se la cavano mentre Chucky finisce abbrustolito come un würstelone allo spiedo (chissà la puzza). Il finale rimane però aperto sulla testa mozzata del pupazzone: sarà morto o sarà (per così dire) ancora vivo? Della serie: se marca bene mo’ lo rifamo.
Ed ebbe talmente successo che si guadagnò addirittura quattro sequel. Si potrebbe chiamarla per l’appunto saga, se il vocabolo non gratificasse il pupone malefico di un’epica immeritata, vista la sfilza scombinata di cerimonie voodoo, zombie, omicidi truculenti, e persino una copula tra bambole (gulp!)…
A questo punto non posso fare a meno di ripensare a quand’ero piccolo, e a quante volte maltrattai il Cicciobello di mia sorella. Lo volteggiavo come una trottola, lo lanciavo contro il soffitto, gli deformavo la faccia, lo facevo piangere finché le pile si scaricavano…
Mi è andata bene, allora. Sono stato fortunato.
Chissà cosa poteva succedermi se… brrr, non oso pensarci…
(Aprile 2004)