Era l’ottobre del 1962 e attraverso la canna di una pistola entrava sul grande schermo la prima avventura di James Bond, Agente 007 - Licenza di uccidere.
Il personaggio veniva dalla penna di Ian Fleming, il quale, prima di dedicarsi al giornalismo, aveva tentato la carriera diplomatica, era stato agente di borsa e quindi ufficiale di marina. Scrittore dandy e un po’ blasé (si dice che scrivesse su una macchina per scrivere placcata oro), dotato però di spiccate doti narrative, Fleming deve la fama a dodici romanzi il cui protagonista è invariabilmente James Bond, agente segreto dell’Intelligence Service.
Il cinema si appropriò del personaggio letterario, lo ripulì da rudezze ed efferatezze, lo plasmò ad immagine e somiglianza dei desideri (in)consci del pubblico, fino a farlo diventare oggetto di culto degli anni Sessanta e Settanta. Dopo ventidue capitoli, nonostante la sua celebrità si sia affievolita, si può ancora affermare che rappresenti un fenomeno di massa senza eguali.
Le ragioni di tale successo sono molteplici.
- Il tema dell’eterna contrapposizione tra Bene e Male, con la rassicurante vittoria del Bene che si determina attraverso numerose e difficili prove.
- Il mito dell’eroe classico senza macchia e senza paura aggiornato all’era moderna, playboy dal piglio ricercato, colto e sottilmente ironico. Un eroe “per eterosessuali dal sangue caldo”, “l'uomo che tutti gli uomini vorrebbero essere e le donne vorrebbero avere”.
- La sceneggiatura, seriale ma di gran lusso, con situazioni semplici e stereotipate diventate tipicamente bondiane: gli inseguimenti spettacolari in località esotiche, l’elegante gioco seduttivo nei confronti della bella di turno, i timers che scandiscono il count-down, il salvataggio all’ultimo minuto…
- Lo sforzo produttivo sempre più importante, gestito per decenni dai lungimiranti Broccoli e Saltzman (che avevano comprato i diritti di tutti i romanzi) e quindi dai loro eredi.
- Le spettacolari sequenze introduttive, quasi un film nel film, della durata di un cortometraggio.
- La robusta e inconfondibile sigla sonora (ta-ta-tataa-ta-ta-ta-taa), le canzoni che accompagnano i titoli di testa, le pregevoli invenzioni grafiche ideate da Saul Bass, autentiche icone d’arte pop.
- L’uso di fantastici gadget tecnologici entrati a far parte del mito: l’Aston Martin DB5 elaborata, la maneggevole Beretta (preferita alla Walther d’ordinanza) e tutto l’equipaggiamento che Q fornisce al suo agente scavezzacollo. Ma anche la bombetta assassina di Oddjob, le scarpe con la punta avvelenata di Rosa Klebb…
- La schiera delle bellissime Bond-girls (impersonate via via da Ursula Andress, Carole Bouquet, Barbara Bach, Jane Seymour, Myriam D’Abo, Halle Berry sino a Olga Kurylenko) e dell’immancabile villain di turno (Adolfo Celi, Telly Savalas, Christopher Lee, Richard Kiel, Christopher Walken…)
- Alcuni bravi e indovinati caratteristi che hanno creato una galleria di tipi memorabili. Tra costoro vanno ricordati almeno Lois Maxwell come Miss Moneypenny e Bernard Lee nella parte di M.
- Gli interpreti che hanno dato la faccia a James Bond, in cui lo spettatore (anche il più smaliziato) non ha potuto fare a meno di identificarsi. Il successo deriva in larga misura proprio da loro. Il primo (e inimitabile) è stato Sean Connery, che gli ha conferito eleganza e sense of humour assenti nel personaggio creato da Fleming. Dopo la breve parentesi di George Lazenby è stata la volta di Roger Moore, che gli ha trasmesso dinamicità ma levato carisma. In tempi più recenti il ruolo è toccato a Timothy Dalton, più pensieroso e meno donnaiolo, allo spigliato (e poco altro) Pierce Brosnan; infine a Daniel Craig, che dà a Bond un aspetto ruvido, malinconico, persino tormentato. A costoro va aggiunto (pochi lo ricordano) David Niven, protagonista del farsesco James Bond – 007, Casino Royale.
Nonostante l’aura di leggenda si sia inevitabilmente appannata, l’Agente 007 continua ad essere un campione del box-office. Possiamo tuttavia considerarlo ancora un personaggio attuale?
Bond appare oggi una figura deliziosamente datata. Un po’ a causa di quelle raffinatezze francamente démodé in fatto di bourbon di tempo di bollitura delle uova (3 minuti e ¾, se volete saperlo). E un po’ per via di quel machismo d’antan che, nel nostro tempo, non scalda più di tanto i cuori delle donne. I tentativi d’aggiornamento da parte degli ultimi interpreti non sono stati a dire il vero soddisfacenti: Daniel Craig che ignora come si prepara un perfetto Martini fa un effetto straniante più che demistificante. Alla fin fine l’agente segreto più famoso del mondo appare severamente ridimensionato, nei gadget come nell’inventiva, e per giunta intrigato in telefilmoni di molto fasto e poco stile.
Quarantasette anni non passano invano e l’immaginario collettivo è nel frattempo maturato: da rappresentante di desideri inespressi, 007 è oggi un simbolo totemico al quale lo spettatore medio si rivolge per pura smania d'evasione e il cinefilo al di là di ogni plausibile ragione.
Ma poco importa. Tutto concorre ad arrivare alla battuta (per ironia della sorte tratta dall'apocrifo Mai dire mai) che meglio di tutte sintetizza il Bond-pensiero ed estasia il Bond-fan.
Emile Largo: “Lei vince con la stessa classe con cui perde?”.
James Bond: “Non glielo so dire. Non ho mai perso”.
.Agente 007 - Licenza di uccidere (Dr. No), di Terence Young, con Sean Connery, Ursula Andress, Joseph Wiseman (Gb, 1962, 107’). Lunedì 2 marzo, ore 21,10, Rai3