Quando giunse nella Piazza del Duomo ad Amalfi, si rese allora conto. In questo suo progressivo scendere verso sud - Caserta, Napoli, Sorrento, la Costiera -, in questo immergersi dentro colori nuovi, aromi inconsueti, sapori freschi. Era il lento scollarsi del presente dal passato, come uno strappo gentile, il distaccarsi di due superfici finissime: una correva rettilinea in avanti, l’altra s’incurvava all’indietro intrecciandosi in spire sempre più strette. Non faceva male. La cognizione del momento incidente copriva il ribollire confuso delle considerazioni sottostanti, rendendole via via impercettibili. Erano voci che andavano a confondersi, indistinte in mezzo alle altre lì intorno: scolaresche chiassose, i carretti con i limoni, l’accento dei locali giù per la Via delle Cartiere, lo scampanio del mezzogiorno. Era lo scomparire naturale e inevitabile delle cose create, che in particolari situazioni si manifesta con vigore toccante. Un evento naturale, come la fatica, la malattia, la morte, compagne spirituali del viaggiatore sotto tutti i cieli. In ciò risiede il fascino misterioso della vita, la sua straziante bellezza.
Questa ferma coscienza lo rivestiva di sollievo, rendeva finalmente chiaro il punto di vista, libero e morbido il fluire dei sentimenti. Tra poco avrebbe ripreso il largo, abbandonando nuovamente e forse per sempre quei paraggi: ma dentro di sé sarebbe rimasta la gioia d’esservi approdato, la certezza serena che non avrebbe dimenticato.
(Amalfi-Ravello, 19 marzo 2009)