(Scritto per Forum Cinema di Kataweb il 17 dicembre 2003)
Alcune volte mi capita di uscire dal cinema con una domanda in testa: ho visto un buon film oppure un’emerita stupidaggine? Ieri sera ho avuto modo di assistere all’anteprima di In the Cut, e l’impressione che ne ho ricavato pencola piuttosto tra il dubbio e la certezza della fregatura.
Unico dato sicuro è che, almeno, non ho pagato il biglietto.
Per il resto que serà serà.
La vicenda narra di Frannie, insegnante single e depressa, la quale intraprende una relazione con il detective Malloy, impegnato ad indagare su un brutale omicidio avvenuto nel quartiere di New York dove lei abita. Frannie si lascia travolgere dai sensi e dagli eventi, pur sospettando che sia proprio l’uomo il colpevole. L’imprudente passione, però, si ferma un attimo prima della possibile tragedia. Colpo di scena finale, poi tutti a casa.
Raccontata così, la storia non si presenta particolarmente originale. E infatti non lo è. Durante la proiezione (per la cronaca, sulla poltrona accanto alla mia stava Stefano Della Casa), mi sono tornate alla mente una mezza dozzina di pellicole analoghe: da In cerca di Mr Goodbar a Nove settimane e ½. E soprattutto Seduzione pericolosa con Al Pacino ed Ellen Barkin, il cui erotismo mi mise in subbuglio per un bel po’.
Speravo che Jane Campion, antropologa di formazione, analizzasse più in profondità il lato oscuro del desiderio femminile, ovvero quando esso si sporge sull’orlo dell’autodistruzione. In the Cut tradisce invece le attese proprio da questo punto di vista. Malessere esistenziale, Edipo, difficoltà di comunicazione tra uomo e donna, sesso disperato, ambiguità dei sentimenti: dovrebbe essere lo sguardo della regista a fare la differenza, onde evitare insidie e banalità. Non si sfugge invece alla convenzione, alle solite (irrisolte) contrapposizioni tra pulsione di vita e di morte, cultura e natura, maschile e femminile, fisico e metafisico (in cui il primo prevale di gran lunga sul secondo). Peccato: perché il film è stato realizzato da donne (la Campion ha adattato un romanzo di Susanna Moore, la quale ha cosceneggiato), e poteva risultare interessante che fossero proprio delle donne ad addentrarsi negli inferi del desiderio sessuale.
Anche sotto il profilo iconografico mantengo in bilico qualche riserva. La Campion è tra le altre cose una pittrice, il suo gusto estetico appare fortemente debitore dell’arte visiva. L’eleganza formale di altri lavori viene stavolta meno, accodandosi piuttosto al gusto trendy della camera a mano e del fuorifuoco. Tanto che, a parte alcune incantevoli sequenze in b/n, di primo acchito il film non si direbbe nemmeno suo.
In the Cut è un thriller erotico. Sicuramente più erotico che thriller. Non fidatevi però dell’ingannevole battage pubblicitario che promette sesso bollente e annuncia Meg Ryan come “nuova dark lady”. Il sesso è più detto che esibito, soltanto una sequenza appena più hard della media attuale. L’ex fidanzatina d’America non concede molto di sé (i maschietti sono avvertiti) e si può dire che passi la maggior parte del tempo a frignare; ad ogni modo se la sbriga in un ruolo drammatico per lei insolito. Mark Ruffalo, nei panni del detective macho, è enigmatico quanto basta per non dubitare di lui almeno un istante. Tra l’altro si potrebbe proporlo per un biopic su Freddie Mercury, tanto incredibile appare la somiglianza. Jennifer Jason Leigh e Kevin Bacon fanno da contorno, giusto per depistare lo spettatore che intende scoprire chi è il colpevole.
Anche se sapere non serve a un cazzo.
E allora que serà serà...
In the Cut, di Jane Campion, con Meg Ryan, Mark Ruffalo, Jennifer Jason Leigh, Kevin Bacon (Australia-Usa-Gb, 2003, 120’). Venerdì 13 marzo, Retequattro, ore 23,20