Oggi si viaggia con estrema facilità: milioni di persone si spostano ogni giorno, in poche ore si può andare ovunque. Le automobili e i treni sono sempre più veloci, i biglietti d’aereo costano sempre meno. Ma dal momento in cui si viaggia così agevolmente, si uccide il viaggio. Che consiste ormai nello spostamento in una scatola chiusa, senza vedere nulla del mondo, per arrivare a destinazioni che si somigliano ormai tutte.
Sono viaggi, questi? A me sembra che lo fossero di più quelli di un passato lontano, quando lo spostamento da Firenze a Roma, a Napoli, era un’avventura. Si utilizzava la diligenza o (se abbastanza ricchi) la carrozza, su strade scomode, con la prospettiva di qualche incontro spiacevole. E poi, all’arrivo, le persone più prudenti prendevano un periodo di riposo, magari si purgavano perché “avevano cambiato aria”.
Non fraintendetemi. Non invidio quei viaggiatori. Osservo soltanto che i viaggi di una volta davano un’emozione che oggi non conosciamo più. Erano davvero viaggi. Quelli attuali sono un’altra cosa. Sono trasferimenti.