Quello che successe due mesi dopo, è risaputo. Benché i vecchi raccontassero già fatti simili, siccome ognuno crede soltanto a quello che vede coi propri occhi, quella è una data che noi non dimenticheremo facilmente. E certi fatti è meglio raccontarli in poche parole, perché a rifletterci sopra non serve. Piovve dunque per tre giorni, ma non in una quantità eccezionale; la cima della montagna sopra Fontamara era avvolta da un nuvolone nero che non lasciava capire nulla. E all'alba del terzo giorno venne giù dalla montagna, col fragore di un terremoto, in direzione della contrada dei Serpari, come se la montagna crollasse, un’enorme fiumana d’acqua che portò via il campicello di Berardo, come un affamato vuota un piatto di minestra, scavando la terra fino alla roccia e disperdendo nella valle le piantine verdi del granoturco. Al posto del campo coltivato rimase un’enorme fossa, una specie di cava, una specie di cratere.
Quelli che non conoscono o hanno dimenticato questi fatti, ora sono facilmente ingiusti verso Berardo e preferiscono spiegare il suo destino rifacendosi alla fine del nonno, il famoso brigante Viola, l’ultimo brigante delle nostre parti giustiziato dai Piemontesi. È certo però che Berardo ha lottato durante tutta la sua vita contro il destino, e sembrava che da nessuna disgrazia si lasciasse abbattere a lungo.
Ma si può vincere contro il destino? Il peggio è questo, ed è un particolare che non si deve dimenticare: quando quel giorno vedemmo scendere la fiumana dalla montagna, tutti ne eravamo atterriti, ma nessuno sembrò stupito, e Berardo meno degli altri. Eravamo tutti in piazza, davanti alla chiesa, ed egli in mezzo a noi. << Ecco, ecco >>, diceva << naturalmente, naturalmente >>. Non diceva altro. La madre gli stava aggrappata a una spalla, tutta invasa dal terrore, col viso di cenere come quello di una morta, aggrappata come Maria al Calvario; e lui guardava la montagna e ripeteva: << Ecco, ecco, naturalmente >>.
(Ignazio Silone, Fontamara)