Mi sedetti alla scrivania e aprii il settimo volume de Il Materiale e l’Immaginario alla pagina 1287.
La ginestra o il fiore del deserto.
Amavo Leopardi, percepivo assonanze tra la sua adolescenza e la mia. I rapporti difficili con il padre, i progetti di fuga che io riproducevo acchiappando un autobus al volo, la sua insofferenza per la vita di provincia e il mio vagabondare per la città. Soprattutto quella necessità di scrivere che provavo anch’io, quando abbandonavo le sudate carte liceali per piccole poesie o pagine di diario. Fortunatamente non ero malato e deforme, ma dritto come un fuso e sano come un pesce.
Trecentodiciassette versi, undici pagine. Mi ci sarebbe voluto metà pomeriggio. Ed era sabato.
D’in su i veroni del paterno ostello, volsi lo sguardo verso il cielo sereno. Maggio odoroso riempiva le chiome degli alberi, il sole sopra i tetti infilava i raggi nella via illuminando il palazzo di fronte. All’ultimo piano si affacciava una ragazza bionda: i suoi occhi fuggitivi incrociavano spesso i miei, qualche volta avrei giurato che mi sorrideva. Silvia, rimembri ancora…
Dei due ultimi canti che Leopardi compose nel 1836 a Torre del Greco, La ginestra, esempio di una poesia che vuol essere anche un intervento di cultura militante, ha concentrato su di sé l’interesse degli studiosi, essendo il testo a cui di necessità deve appoggiasi qualsiasi interpretazione del pensiero leopardiano nel suo esito finale…
Leopardi aveva deciso di stabilirsi a Napoli tre anni prima, ospite del principe Antonio Ranieri. Nel ’36, per sfuggire ad un’epidemia di colera, si era trasferito in una casa di campagna alle falde del Vesuvio, dove aveva scritto La ginestra e Il tramonto della luna. Le voci malevole esistevano pure allora, molti spettegolavano sullo strano sodalizio che legava il poeta a Ranieri. Quando quest’ultimo pubblicò mezzo secolo dopo le proprie memorie, esse apparvero assai sibilline sull’argomento, dando piuttosto l’impressione di voler occultare qualcosa. I successivi chiarimenti, seccati ed evasivi, non spensero le chiacchiere sull’omosessualità di Leopardi.
Francamente, a me la cosa interessava poco: de gustibus eccetera eccetera, chiosavo con obiettiva indifferenza. Più divertente era invece un aneddoto ascoltato o letto non so più dove. Sebbene malato, Leopardi si vestiva ogni giorno di tutto punto e scendeva nei vicoli di Napoli a comprare del gelato, di cui era ghiottissimo. Gli scugnizzi lo sfottevano per via dell’abbigliamento démodé e i modi da gentiluomo, ma lui non se ne curava.
Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti…
Sì, nonostante siano trascorsi venticinque anni conosco ancora a memoria l’incipit. Conservo vivo il ricordo di quel sabato pomeriggio di fine maggio, in cui assorbii dalla poesia uno smarrimento crescente e minaccioso che rendeva sempre più faticosa l’analisi del testo. E mi sentii affondare in un abisso di malinconia, come se tutte le speranze dovessero finire inevitabilmente disattese.
Il canto si apre e si conclude con la figura simbolica della ginestra; la pianta che muore e rinasce sulla devastazione, ha un duplice significato metaforico, attestando sia l’insignificanza degli esseri nel procedere non finalistico dell’esistenza universale, sia il valore positivo della sopravvivenza… Tra le due immagini del fiore… si svolge un’ampia riflessione incentrata sul confronto tra i tempi lunghissimi dell’evoluzione naturale e i tempi brevi della storia; tra la vastità dell’universo fisico e la marginalità della terra; tra la grandiosità delle energie naturali e la precarietà delle costruzioni umane. Si noti che Leopardi, prospettando l’ipotesi di catastrofi che possano annullare non i singoli individui ma l’intera specie dell’uomo – e allineando in una sorte comune uomini, formiche, piante – riassume un tipico tema settecentesco sulla morte e sull’angoscia di morte… La parte più polemica del discorso leopardiano… comprende, oltre all’attacco contro lo spiritualismo cattolico e il falso progressismo, la definizione di un ideale tipo umano i cui tratti essenziali sono il coraggio e l’onestà intellettuale a cui consegue coerentemente un comportamento di fraterno amore verso la comunità degli uomini. Leopardi accenna… a un’utopia sociale fondata sull’aiuto reciproco degli esseri umani uniti dalla necessità di difendersi contro la sofferenza.
In cielo e nei prati era piena primavera. Confinato nella mia stanza, io pensavo a Leopardi stanco, debole, ma abbarbicato alla vita come la ginestra sulle pendici del vulcano. Mi domandavo se presentiva di aver imboccato un cammino cieco, che Napoli rappresentava la resa, il distacco definitivo. E se, rifiutando ogni illusoria consolazione, fu davvero capace di fronteggiare l’angoscia dell’annullamento finale.
Adele ha ascoltato con vivace interesse il mio racconto, snodatosi lungo i tornanti trafficati della Costiera fino all’estinta Pompei. Oggi fa freddo, tira un terribile vento di tramontana che filtra attraverso le rovine sparse di quella che fu una città famosa. Appena dietro l’antico foro, tra la fila delle colonne mozzate, ecco il formidabil monte sterminator Vesevo.
Ne trattengo l’immagine con una fotografia.
(20 Marzo 2009)
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