La data del voto si sta avvicinando. Dai discorsi che sento fare in giro, tra gli elettori di centrosinistra e di sinistra si rinforza la tentazione dell’astensione.
Gli indecisi sono tali per sconforto, delusione, assuefazione.
Lo sconforto è certamente condivisibile: non si può non far caso al vero e proprio abisso, culturale ed etico ancor prima che politico, in cui l’Italia è sprofondata in quest’ultimo anno. La linea di frattura tra politica e cittadinanza è sempre più ampia e grave.
La delusione è dovuta alla difficoltà di contrapporre un argine alla deriva demagogica cui stiamo andando. Invece di creare un fronte comune, non passa giorno in cui le opposizioni non colgano occasione per polemizzare tra loro nel tentativo di rincorrere l’elettorato. È una questione di metodo che però, in vista del voto, diventa una strategia fallimentare e autodistruttiva.
L’assuefazione consiste nel considerare ormai normali cose che in democrazia non lo sono per niente - e infatti non sono mai accadute né accadono in altri Paesi: i toni incivili, le aggressioni verbali nei confronti degli avversari politici, delle istituzioni, della magistratura. Neppure la deliberata e palese manovra di far fallire un referendum d’iniziativa popolare scuote le coscienze e anima il dibattito.
Non penso che quello di Berlusconi sia un regime. L’espressione è talmente generica che può significare tutto e niente, se non un alibi per lamentarsi e poi desistere dal manifestare il proprio dissenso. La nostra è una democrazia svuotata dai decreti legge e dai provvedimenti ad personam. Al potere sta un uomo inadatto a governare, privo di senso dello Stato, delle istituzioni, che considera il parlamento una palla al piede, la magistratura un grumo sovversivo. Un uomo che ha perduto pure il senso della realtà, che agisce senza più limiti e freni, attorniato da uno stuolo di lacché ossequiosi e incapaci. Basta riferirsi a ciò che scrivono i giornali di mezza Europa su Berlusconi, considerato apertamente un modello negativo di leader. Criticano aspramente le continue esternazioni prive di spessore politico, manifestano una seria preoccupazione per i ripetuti attacchi alle norme elementari della convivenza democratica, ne mettono alla berlina i comportamenti da satrapo.
Purtroppo l'opinione pubblica in Italia non esiste. O, più precisamente, viene condizionata e controllata artificiosamente. Ancora una volta, in queste elezioni ci troviamo a che fare con una lobby che detiene o sorveglia reti televisive, radio, giornali: un sistema informativo dopato e corrotto, vessillo di un gigantesco conflitto d’interesse diventato ormai parte del panorama del nostro Paese.
Non mi piace l'espressione e neppure il concetto di voto utile: quando esprime un pensiero libero, è frutto di una scelta consapevole, ogni voto è utile. Mai come in questo momento, allora, appare indispensabile utilizzare il proprio voto in modo responsabile. La confusione politica di questi ultimi tempi confonde e destabilizza noi cittadini. Non bisogna tuttavia cedere alla delusione, allo sconforto, all’assuefazione: anche se sembrerebbe più facile desistere, ritirarsi nel privato, curare gli interessi personali, infischiarsi della collettività. L’astensionismo non paga, specie in questo momento: la situazione democratica dell’Italia è assai peggiorata e corre rischi effettivi, percepibili.
Andiamo dunque a votare: per le europee, per le amministrative, per il referendum. È un diritto-dovere che ci viene assicurato dalla Costituzione. Rompiamo il silenzio, conserviamo fin dentro i seggi elettorali la voglia e il coraggio di indignarci. Solo in questo modo possiamo tener viva la speranza che molto si può fare e nulla è perduto.
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