Una volta scrisse a Sadat: “Saremmo felici di vivere nel deserto, nudi, senza petrolio, senza elettricità, senza città, senza luoghi di divertimento, ma con la dignità, il patriottismo, la religione araba”. << Dio ti benedica, fratello giornalista >>. << Grazie, addio >>. Sulla via del ritorno, pensando all’ennesimo incontro nel deserto con “l’uomo più pericoloso del mondo” (così lo definiva Reagan), un incontro senza traccia di protocollo, percepii una volta ancora la sensazione di un’immensa solitudine (la sua) custodita da una persona indecifrabile. Per un attimo, forse, colsi cosa significa essere un beduino. (Igor Man, L’Islàm dalla A alla Z) Sempre a Taurga, una notte, dopo la solita interminabile intervista (di fatto un lungo monologo), accompagnandomi all’automobile che mi avrebbe riportato a Tripoli correndo sulla vecchia via Balbia, il Colonnello si fermò davanti a un fuoco di sterpi affinché ci riscaldassimo un po’. Di notte il deserto gela. Bevemmo tè bollente e tiepido latte di cammella appena munto. Poi riprendemmo a camminare, con un Basco Rosso a illuminarci il cammino. Gheddafi procedeva con la testa rovesciata a guardare le stelle. Non ha mai nascosto il timore che, all’improvviso, una “stella cattiva” (una sorta di malaugurio) sfregi l’immenso arcipelago delle costellazioni.