La pronuncia esatta è Ghisa – anche se dire le piramidi di Ghisa fa un poco sorridere.
La piana di Giza si trova a quindici chilometri dal centro del Cairo, nella parte più meridionale della sponda occidentale del Nilo. Fino a poco più di un secolo fa la zona costituiva un lembo del Sahara e si raggiungeva con una cavalcata lungo i campi irrigati. Nel 1869 l’imperatrice Eugenia di Francia inaugurò una strada lungo la quale correva un tram. Oggi Sharia el-Ahram, Pyramids Road, è un viale a quattro corsie intasato giorno e notte da un traffico lento, caotico e rumoroso. Dall’Hôtel Zoser, che dista appena cinque chilometri, occorrono tre quarti d’ora di pullman tra gimcane in mezzo ai carretti e tamponamenti a catena. Gli insediamenti urbani giungono ormai sino quasi alle porte all’ingresso del sito archeologico: dalle piramidi si nota una skyline di palazzi moderni che non è esattamente ciò che i faraoni avevano previsto. D’altra parte, Il Cairo è una megalopoli di almeno venti milioni di abitanti (cifra esatta non stimabile). La sua estensione fa davvero impressione: soprattutto andando a est, verso il tunnel di Suez, pare non finire mai.
Sfatiamo un luogo comune. Le piramidi di Cheope, Chefren e Micerino offrono al turista uno spettacolo impressionante. Trovarsele di fronte dopo averle studiate a scuola o viste in televisione è una bella soddisfazione: non mi par vero d’essere qui, dico tra me e me, e nemmeno avrei mai sperato di poterle vedere dal vero. Dopo il primo impatto, tuttavia, l’effetto si attenua progressivamente. Il loro aspetto è, sì, imponente (come se dovessero abbattersi su di noi, scriveva Flaubert), ma proprio l’eccessiva riproduzione mediatica ne limita paradossalmente la percezione d’indubbia imponenza. E poi, come accennavo, i nuovi quartieri residenziali arrivano ormai a poche centinaia di metri dalle zampe della Sfinge: bazar zeppi di cianfrusaglie e fast food poco invitanti sono il moderno corollario di queste costruzioni millenarie. Che erano già antiche ai tempi di Gesù e oggi hanno superato i cinquemila anni di vita.
La piramide di Cheope è la più antica e grande, quasi 150 metri di altezza. È costituita da almeno due milioni e mezzo di blocchi di calcare, ciascuno dei quali pesante due tonnellate. (Vi risparmio tutte le idiozie sulle presunte tecniche di edificazione, dai dischi volanti all’energia atomica, che fanno la fortuna di certe trasmissioni televisive.) L’interno è parzialmente visitabile, ma nell’agosto del 2007 erano in corso dei restauri e dunque niente da fare.
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Sono invece entrato nella camera funeraria della piramide di Chefren, che si trova in posizione più elevata rispetto a quella di Cheope e quindi sembra più alta; tra l’altro è riconoscibile per via della sommità, con quel rivestimento in calcare bianco che, sotto il sole africano, brilla in modo accecante. Alla camera funeraria, posta nel sottosuolo, si accede scendendo una ripida scaletta, quindi percorrendo un breve corridoio alto neanche un metro e mezzo (zuccate garantite!), e infine risalendo qualche gradino. L’interno, scavato nella pietra, appare spoglio e ospita soltanto un sarcofago in granito, vuoto, scoperto dal Bolzoni nel 1918. Me ne vengo via in fretta: non perché temo qualche vendetta del faraone, ma l’aria è francamente irrespirabile.
La piramide di Micerino si trova in posizione defilata ed è la più piccola delle tre. Gli studiosi presumono che gli egizi avessero finito i soldi, ma sembra probabile che il potere dei faraoni cominciasse a diminuire di fronte a una diversa distribuzione di ricchezza e autorità.
Visitare questo sito significa scoprire che contiene altre tre piramidi, più piccole, dedicate ad altrettante regine.
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Dalla piramide di Chefren si scende per una lunga rampa sino alla Sfinge, Abu el-Hol, il Padre del Terrore. Anche per questo straordinario monumento, dal corpo di leone e il volto umano, valgono le considerazioni fatte sopra a proposito delle piramidi. Appare meno imponente di come la si immagina, e in diverse parti assai malridotta. In passato i lavori di restauro sono stati condotti in modo maldestro, oggi si sta cercando di porre rimedio al progressivo ed inevitabile sfaldamento. Ad ogni modo, la sensazione è che davvero sia stata liberata dalle sabbie che la circondano, come la leggenda racconta.
È strano pensare che questa parte di pianeta appartenga all’Africa. Il Cairo sembra una propaggine del Vicino Oriente, sia dal punto di vista geografico che per lo stile di vita. Qui cercano rifugio e lavoro i profughi palestinesi e vengono a svernare gli sceicchi del Golfo. La civiltà egizia e le sue vestigia rendono però questa terra la madre del mondo, una culla di archetipi comuni all’intera umanità. Ciò spiega il fascino che esercita, ben lungi dal tramontare.