Scrissi questo raccontino nel settembre 2007 per il Blu Agorà Caffè. Protagonista è James Pim, una specie di 007 piuttosto pasticcione, e gli amici forumisti si ritrovano coinvolti come interpreti. Lo spunto fu la presenza a Venezia di George Clooney (senza la Canalis) per la 64° Mostra del Cinema; qualche giorno prima l’attore era stato ricoverato per un lieve incidente di moto, ma qui mi sono divertito ad attribuirgli una patologia meno decorosa.
Alcuni riferimenti sono poco comprensibili per chi non frequentò quel forum, confido comunque che la storia sia ugualmente leggibile.
Superata la portineria all’ingresso, James Pim si ritrovò nell’atrio centrale dell’ospedale. Una rapida occhiata alle indicazioni per localizzare il reparto, poi s’incamminò lungo il corridoio principale. Indisturbato, sgattaiolò in una toilette, indossò il camice e ripiegò lo smoking nella ventiquattrore. Fece una smorfia. Sul cartellino identificativo stava scritto Dott. Lino Toffolo. Vabbe’, si disse, sempre meglio che Prof. Bombolo.
Prese le scale e giunse al primo piano. Urologia. Adesso sì che comincia il bello, pensò. Entrò, e subito si trovò di fronte un’infermiera piuttosto procace che sobbalzò. “Ostrega! Da dove ven fora ‘sto fiòl d’un càn?”.
“Ciao Maddie”. Pim sfruttò l’effetto sorpresa per stringerle la gola con lo stetoscopio. “Dovrei fare una visitina a chi sai tu…”.
“Ma come casso…”.
“Ha la prostata, vero?”.
“Se ciàma ipertrofia prostatica benigna, ‘gnorante”.
Come ringraziamento per la corretta definizione scientifica, Pim le appioppò una botta in testa con il martelletto e la chiuse a chiave nel ripostiglio delle scope. Si accertò quindi che nessuno si aggirasse nei paraggi. Bene bene. Liscio come l'olio. Di vaselina.
Si diresse allora verso l’ultima stanza del reparto e aprì la porta.
Tombola.
Il paziente era a letto, pallido, sudato, visibilmente sofferente. Di fronte a lui una donna bionda che si voltò di scatto.
“Pim!”.
“Emma! Tu qui?”.
“Ho scoperto che George era ricoverato in questo ospedale”.
“E come caspita hai fatto”.
“C’era una foto sul giornale, ho preso la lente d’ingrandimento, ho letto il nome della via e…”.
Ecco che significa trascorrere l’estate a leggere gialli. “Ma cosa sei venuta a fare. Guarda che non è nelle condizioni che speri tu”. Gli scappò da ridere: “Ha la prostata ingrossata… al massimo puoi passargli il pappagallo”.
“Ma cosa credi, gelosone. Avevo una sceneggiatura da sottoporgli e così ne ho approfittato…”.
“Quella che da anni mi prometti: sìssì, te la mando domani… e poi nisba?”.
Lei esitò. “Beh, sai com’è… mi vergogno… tu scrivi così bene…”.
“In compenso leggo malissimo. Però ti perdono”. Pim si avvicinò, le inarcò la schiena e la baciò come da film.
A quel punto, George Clooney perse la pazienza. “Sto male come una bestia, c’ho la vescica che mi scoppia, e prima arriva la svampita col copione, poi ‘sto cascamorto di medico. In che ca… di posto sono capitato!”.
“Ah già, dimenticavo”, si riscosse Pim lasciando cadere Emma. Dalla tasca del camice tirò fuori un catetere e con aria gigiona fece: “A noi due, cicciobello. Stai attento che ho una pessima mira. Per entrare entra, ma poi chissà dove va a finire…”.
George saltò su come una molla e premette il pulsante che aveva sul cuscino. Una sirena da contraerea squarciò il silenzio.
“Scappiamo Emma, se ci beccano siamo fritti”. Pim l'afferrò per la mano e si avviarono di gran carriera per il corridoio. Maddie, che nel frattempo si era liberata, tentò di sbarrare la strada brandendo un’asta della flebo, ma lui le lanciò addosso il carrello dei prelievi ed Emma la colpì con una padella. Piena.
Imboccarono le scale a rotta di collo. “Sempre di corsa, noi due. Tutte le volte così.…”, sbuffò lei.
“Mi sa che dovremmo prenderci una bella vacanza…”, ansimò Pim.
“Non dirmi che hai ancora Verdoux alle calcagna”.
“Sempre per quella vecchia storia con Loulou. Ma adesso c’è pure Fregnacciandus che me l’ha giurata”.
“Fregna… chi?”.
“Non dire parolacce. Temo forte che voglia infilarmi tutta la bibliografia dell’Aretino nel… bah!”.
Usciti dall’ospedale s’infilarono in una calle semideserta, e solo qui rallentarono il passo. “Ho lasciato la gondola in seconda fila, baby. Se non l’hanno rimossa, tra poco saremo al sicuro”.
“Dove andiamo?”.
“Aspetta e saprai”.
Arrivarono al molo. “Metti il turbo e vai”, intimò Pim al gondoliere mentre salivano. Emma lo guardò attentamente. Quell’uomo sembrava Alberto Sordi.
“Ahò, ce se rivede”.
“Kissoff!”, esclamò lei, “Tutto mi aspettavo tranne che ritrovarti a Venezia…”.
“Me stai a pija´´n giro? È mejo che ar cinematografo”. Poi impugnò il remo e cominciò a vogare con lena. Nel giro di poco abbandonarono il fitto dedalo dei canali e presero il largo.
Emma socchiuse allora gli occhi, godendosi le onde che sciabordavano e lo stridio dei gabbiani. Dopo tanto tempo, si accorse d’essere felice.
“Tesoro, mi dici finalmente dove siamo diretti?”.
Pim fece un cenno d’intesa a Kissoff che si mise a cantare. Roma nun fa la stupida stasera…
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