Rānia al-Yāsīn è un’affascinante donna palestinese di trentanove anni, una delle più belle al mondo secondo il magazine inglese
Harpers and Queens. Nata in Kuwait da un’importante famiglia di origine palestinese e laureatasi all’Università Americana del Cairo, Rānia è anche la moglie di Abd Allāh bin al-Husayn, quarantasettenne re di Giordania, figlio dell’ormai leggendario Husayn (o Hussein, secondo la traslitterazione più usata). Come ogni famiglia reale che si rispetti, anche gli Hashemiti non sono stati immuni da controversie circa la successione al trono. Poco prima della morte, febbraio 1999, re Hussein privò del potere di reggenza il fratello Hassan bin Talal, nominando successore il figlio di secondo letto Abdallāh. Dietro le quinte le cose non andarono così lisce, ma tant’è.
Da dieci anni il giovane sovrano sta seguendo le orme tracciate dal genitore, attuando una politica moderata all’interno del mondo arabo. La scelta di ricercare una soluzione pacifica con Israele e i Territori Palestinesi fa della Giordania un ago della bilancia essenziale negli equilibri della regione. Negli affari interni, Abdallāh II ha assunto un atteggiamento piuttosto risoluto nella lotta alla corruzione, piaga piuttosto diffusa da quelle parti (in Siria Bashir el-Assad è impegnato nella stessa battaglia, peraltro senza grandi risultati).
Le riforme economiche messe in atto negli ultimi anni, hanno reso il paese un importante centro di alta tecnologia e servizi. Il turismo sta risollevandosi solo di recente, svolgendo un ruolo di traino di tutta l’economia fortemente provata dagli esiti dell’11 settembre e dalla guerra in Iraq. Ho visitato questa terra nel 2007 e vi assicuro che è veramente ricca di attrattive: da paesaggi di bellezza incomparabile (il golfo di Aqaba, il deserto di Wadi Rum con la sua sabbia rossa, il panorama dal Monte Nebo sulla biblica Terra Promessa) a siti archeologici di gran valore (Petra, antica capitale dei nabatei, e le rovine di Jerash, detta la Pompei d’Oriente).
Amman appare come una moderna metropoli in continua espansione, e mostra un carattere internazionale molto differente da Damasco o Gerusalemme. I giovani delle classi medio-alte adottano uno stile di vita per nulla dissimile dal nostro, in netto contrasto con i principi tradizionali dei beduini delle aree rurali. Le rivendicazioni delle donne giordane hanno qui trovato ampia soddisfazione, grazie anche alla posizione pubblica che la regina ha assunto. In qualità di first lady, Rānia si è battuta per migliorare la condizione femminile, sia nel proprio Paese che in quelli islamici; tra le varie iniziative ha istituito la Jordan River Foundation, una fondazione di beneficienza basata sull’artigianato prodotto da donne.
Oggi le ragazze giordane possono accedere a tutti i livelli di istruzione, tanto che il numero delle studentesse nella scuola dell’obbligo è quasi pari a quello dei ragazzi. È loro concesso di guidare (la cosa può far sorridere, ma in molti paesi islamici ciò è vietato), possono divorziare, dal 1967 hanno diritto di voto, e un sistema tipo “quote rose” garantisce un numero minimo di sei deputate. Stanno inoltre accedendo a settori e professioni abitualmente considerati prerogativa maschile, non soltanto nei campi più tradizionali dell’istruzione o della sanità.
Malgrado sia considerata una delle società più liberali della regione, in Giordania permangono tuttora retaggi tradizionali: i matrimoni combinati sono pratiche ancora abbastanza diffuse, si attribuisce un enorme valore alla “reputazione” della donna, alla verginità, e il problema dei “crimini d’onore” resta terribilmente attuale. Si badi bene, però: sono usanze e comportamenti che traggono origine da fondamenti culturali più che religiosi, radicati in una mentalità tribale presente quasi più soltanto nelle campagne. Abdallāh II, influenzato dalle attività della moglie, è intervenuto sulla questione dei “crimini d’onore”, che rappresentano il 25% degli omicidi, ma il parlamento non ha accolto il disegno di legge relativo. Se è vero che, come ho avuto modo di vedere, pochissime donne portano l’hijab e praticamente nessuna il chador, e un numero sempre crescente stia raggiungendo l’indipendenza economica, è altrettanto vero che elementi di disuguaglianza restano radicati.
Sotto questo profilo, Rānia non possiede solo un ruolo regale esornativo. Pur partendo da una posizione privilegiata, proviene da una famiglia benestante, ha saputo emanciparsi grazie allo studio e al lavoro (aveva un incarico presso la sede giordana della Apple). Ed ora, madre di quattro figli tra i quindici e i quattro anni, continua ad impegnarsi in numerose attività sociali.
Secondo i nostri parametri potrebbe apparire come una delle tante e un po’ stucchevoli dame di carità, ma vi assicuro che rappresenta un modello molto seguito tra le donne giordane e di buona parte del Vicino Oriente.
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