La Juventus era giunta all’edizione 1977-78 della Coppa Campioni sulla scorta dello scudetto vinto l’anno precedente: quello dei 51 punti (sui 60 disponibili) contro i 50 del Torino. Un testa a testa tiratissimo che conserva ancora un alone di leggenda. L’avvio del torneo continentale si era svolto in tutta tranquillità: i ciprioti dell’Omonia Nicosia (3-0 e 2-0) e i nordirlandesi del Glentoran (0-1 e 5-0) erano stati messi sotto senza patemi d’animo. La pacchia finì quando dall’urna uscì il nome dell’Ajax come avversario nei quarti di finale. I Lancieri non erano più lo squadrone che, guidato da Cruijff e Neeskens, aveva vinto tre Coppe Campioni (una proprio a spese dei Bianconeri, nel 1973). Tuttavia rimaneva squadra ostica, in cui Krol (l’unico fuoriclasse rimasto dopo la diaspora dei migliori) comandava un drappello di giovani molto validi: tra questi Arnesen, Geels, La Ling, di origine cinese, e il molucchese Tahamata. La Juventus era quella di Zoff, di Gentile e Cabrini, di Scirea, Tardelli e Bettega: il fulcro della Nazionale che, di lì a poco, avrebbe entusiasmato ai Mondiali argentini.
L’incontro di andata si disputò ad Amsterdam il primo marzo 1978. Ne parlo per ricordo personale. Avevo tredici anni e i mercoledì di coppa prevedevano un rituale preciso: m’infilavo nel letto dei miei e seguivo le partite alla radio, facendo il tifo da sotto le lenzuola. Se dovessi spiegare ora il motivo di tale comportamento non saprei cosa dire senza scomodare Freud. Ma lasciamo stare, e torniamo alla partita. Il sostanziale equilibrio in campo venne spezzato inaspettatamente a due minuti dalla fine da un’inzuccata dello stopper Van Dord; proprio allo scadere del 90°, però, Causio riuscì a pareggiare con un’azione delle sue. La rete in trasferta era importante per la qualificazione, ma il ritorno a Torino due settimane dopo sarebbe stato decisivo.
Le cronache narrano che si trattò di uno scontro duro, anzi durissimo. Gli olandesi erano scesi con il proposito di vincere, l’unico modo possibile per passare il turno, e la misero subito sul piano fisico. Sin dai primi minuti Zoff fu costretto ad una serie di interventi difficili, tra i quali un colpo di testa all’indietro di Benetti che stava per procurare una clamorosa autorete. Al 20° del primo tempo l’assedio venne però interrotto da un gol di Tardelli. I settantamila del Comunale scattarono in un urlo liberatorio e anch’io, tra le coperte, esultai convinto che i giochi fossero fatti. Invece l’Ajax riprese ad attaccare in modo veemente, a folate, tirando da tutte le parti e mettendo in seria difficoltà la difesa bianconera.
Nella ripresa la musica non cambiò: anzi, complice la filosofia sin troppo accorta del Trap, la Juve si fece schiacciare nella propria metà campo. Finché, al termine di un batti e ribatti in piena area, giunse il prevedibile pareggio di La Ling. Tutto da rifare. Gli ultimi minuti furono una sofferenza: l’attacco non riuscì più a costruire azioni pericolose e Zoff dovette rimediare a qualche sbavatura della retroguardia. Durante i supplementari la stanchezza dei giocatori dell’Ajax lasciò ai Bianconeri qualche occasione in più, ma fu il centravanti Geels a sprecare clamorosamente in contropiede la palla del possibile 2-1.
Si andò così ai rigori: una sequenza mozzafiato, il cui ricordo conservo intatto tra i più belli e netti della mia adolescenza.
Sul dischetto si presentò per primo Gentile: rincorsa, piatto destro e pallone alle stelle. Misi le mani nei capelli. Sembrava già finita. Rispose l’Ajax con Geels: botta rasoterra, un po’ fiacca, Zoff si distese sulla sinistra e bloccò sicuro. Un errore per parte, e si ricominciò. Fu il turno di Benetti che, come suo solito, non andò di fino e sparò una cannonata a gonfiare la rete. Il rigore successivo lo tirò Van Dord: ne uscì la fotocopia del precedente e Zoff, mani a tenaglia, si accartocciò sulla palla. “Parata”, esclamò stentoreo Ameri per la seconda volta; e mentre la radio rimandava il boato dello stadio impazzito io spiccai un balzo inconsulto sul letto. Il portierone diede anche la carica necessaria a Cabrini per segnare facile il 2 a 0, e immediatamente dopo ipnotizzò il povero La Ling che la mise fuori di una spanna. Mentre mi rotolavo ormai sfrenatamente, Causio chiuse la serata da campioni sforacchiando Schrijvers. L’Ajax era stato battuto. Tutto lo stadio scandì all’unisono un solo nome: “Dino, Dino”.
Nelle interviste successive, Zoff replicò a chi già lo vedeva sul viale del tramonto con la consueta imperturbabilità: “Ho trentasei anni, non so ancora quando smetterò di giocare, ma di certo non dopo i Mondiali argentini… Non pongo limiti alle mie possibilità e sulla carta anche i Mondiali dell’82 possono essere alla mia portata”.
Parole che risultarono profetiche.