“Sappiamo tutti che noi essere umani siamo composti da un numero enorme di cellule (circa venticinquemila miliardi) e che quindi tutto ciò che facciamo potrebbe essere descritto, in linea di principio, in termini di cellule. O potrebbe addirittura essere descritto a livello molecolare. Per lo più accettiamo tutto ciò in modo alquanto pragmatico: andiamo dal dottore, il quale ci esamina a livelli più bassi di quelli ai quali noi stessi ci consideriamo; leggiamo articoli sul DNA e sull’"ingegneria genetica" e intanto sorseggiamo il caffè. A quanto pare, abbiamo conciliato questi due quadri incredibilmente diversi di noi stessi semplicemente sconnettendoli l’uno dall’altro. Praticamente non c’è modo di collegare una descrizione microscopica di noi stessi in "comparti" affatto separati della nostra mente. È raro che ci capiti di dover passare dall’una all’altra di queste due concezioni di noi stessi chiedendoci: "Come fanno queste due cose completamente diverse ad essere lo stesso me?"
Oppure: consideriamo una sequenza di immagini televisive che mostrano Shirley MacLaine che ride. Quando guardiamo questa sequenza sappiamo che in realtà non stiamo guardando una donna, bensì sciami di puntini che guizzano su una superficie piatta. Lo sappiamo, ma nulla è più lontano dalla nostra mente. Di ciò che si trova sullo schermo possediamo queste due rappresentazioni violentemente contrastanti, ma non ne siamo imbarazzati: possiamo semplicemente escluderne una e concentrarci sull’altra, ed è ciò che facciamo tutti. Quale delle due è più "reale"? La risposta varierà, a seconda che siate un uomo, un cane, un calcolatore o un televisore”.
(Da Gödel, Escher, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, di Douglas R. Hofstadter. Cit. da Progetto Polymath - alle origini del computer)