(Sorrento, marzo 2009)
L’autista del pullman sciorina una voce di petto dal caldo accento napoletano: << Non è un posto come tanti altri, ci va tempo per arrivare >>. A dire il vero, da Vico Equense in avanti ho visto soltanto una lingua metallica di automobili. E di Sorrento giusto il corso principale che conduce all’albergo. In mezzo, sta un omino che fa segnali con la paletta. Lavori in corso a quest’ora della sera: mica il caso di andare in Cina, allora.
<< Com’è la tua stanza? <<, s’informa Adele più tardi, mentre usciamo. << Non male >>, rispondo: << C’è anche un terrazzino, con uno spicchio di mare in lontananza >>. L’albergo è stato ristrutturato di recente, sul piazzale un grande albero di limoni e alcuni motorini. << Ancora discorsi filosofici, voi due? >>, sbuffa Giulia che ci ha sopportato per tutto il viaggio. << Siamo troppo stanchi >>, scherza lei. << Domattina sveglia presto! >>, interviene Marina: << Anticipiamo il traffico di Napoli più che possiamo >>. << Ancora due passi. Qui dove il mare luccica e tira forte il vento… >>, supplico io, che di dormire non ne ho proprio voglia.
La bottega del barbiere ha un nome divertente. Non lo appunto subito, e così lo dimentico. Peccato. D’altra parte siamo tutti un po’ svagati. Procediamo con andatura incerta, tra il marciapiede stretto e la strada dissestata. Un’auto arriva veloce alle spalle e ci supera passando rasente le vetture in sosta. Nella tasca dei jeans il vibracall mi avverte di un sms che decido saggiamente di ignorare.
Adele si ferma davanti alla vetrina accesa di un negozio: dolci tipici, olio, limoncello. Osserva silenziosa, l’espressione improvvisamente seria. Gli occhi che erano di un azzurro specchiato si fanno scuri. Li riconosco, anche i miei diventano così. << Ogni tanto m’impongo qualche rinuncia, delle piccole mortificazioni… >>. << Le nostre mamme li chiamavano fioretti >>, commento. << È un’esigenza che sento dentro di me, non un atto forzato o un bisogno di espiare… >>. Ha qualcosa nello sguardo, una lucentezza, un candore che mai mi aspetterei da una donna colta ed elegante com’è lei. << Dirai che è da nevrotici… >>, continua, toccandomi lievemente la mano. Scuoto il capo: << Non bisogna giudicare impulsi così profondi… >>. << Non so davvero perché te ne parlo, neppure ci conosciamo tanto… >>. << Da stamattina. Mi sembra un tempo ragionevole, no? >>.
Le nostre parole si riflettono sui muri della via deserta. Giulia e Marina hanno già svoltato, chissà dove sono. Adele sta per aggiungere qualcosa. Sembra che rinunci, poi ci ripensa. << Faccio spesso visita in chiesa. Anche solo pochi minuti, il tempo per raccogliermi in una breve meditazione. Lascio che i pensieri fluiscano, trovino la direzione da sé >>. << Una volta avevo anch’io questa abitudine >>, le confido di rimando: << Non pregavo. Non nel senso tradizionale del termine, almeno >>.
<< È da molto che non affonto questo genere di discorsi >>, ammetto, riprendendo il cammino. << Ti turbano? >>, domanda lei. << Al contrario. Avverto piuttosto un certo senso di colpa, perché li ho accantonati. Rappresentano una parte di me che non frequento più tanto spesso >>. << Sì, l’avevo capito >>. << Come il Soratte, di cui parlavamo oggi pomeriggio. Appena l’hai nominato, io: ah, sì, Ovidio… >>. << Orazio, Pim. Orazio! >>. << Ecco. Vedi? >>. << Hai ragione, non è facile parlarne. Neanch’io saprei cosa dirti di più >>. << Conta soprattutto ciò che abbiamo nel cuore. Tu l’assecondi, io lo rimuovo: questa è la differenza >>. Adele resta un attimo in silenzio, cercando le parole: << Non senti nostalgia di Dio?… >>.
La voce stentorea di Marina ci richiama dall’altro capo della via. I nostri sguardi s’incrociano per un attimo. Poi, come sciolti da un incantamento, scoppiamo a ridere.