M. presenta la sua seconda raccolta di poesie alla libreria X. È un APS (Autore a Proprie Spese) che ha già pubblicato un volumetto di cui, per essere sinceri, la letteratura italiana non sentiva un’effettiva necessità. Ma tant’è. E così M., tirato a lucido come una scarpa, compare davanti a una platea che, pur volendo essere indulgenti, non si può certamente definire vasta. Delle sette-otto persone presenti, poi, i due terzi si qualificano come parenti prossimi, e ho la netta impressione che il Nostro susciti tra costoro un consenso appena tiepido. C’è quindi il mio amico L., che è d’animo troppo beffardo per riuscire a negarsi una splendida occasione come questa. Per quel che mi riguarda speravo almeno in un decoroso buffet, ma non ne scorgo – ahimè – traccia.
L’Autore è introdotto dalla professoressa G., la quale ha accettato di scrivere qualche parola di prefazione. La verità è che G., non sapendo che pesci prendere, ha chiesto soccorso a un insigne collega di Lettere in pensione che, sembra, non abbia affatto gradito.
Mentre M. illustra con dovizia di particolari la propria poetica, l’Opera mi giunge infine tra le mani. Contiene svariate liriche sul paesello natio, sul primo amore oramai imbolsito e qualche scheletrito esempio di poesia cimiteriale.
Io fingo un deferente interesse, L. sogghigna senza ritegno.
(Ottobre 2006)