(Kos, luglio 2010)
Sulla terrazza dell’hôtel c’è chi scatta fotografie, conversa appoggiato alla balaustra a picco sul mare, organizza una serata al villaggio vicino. Seduto ad un tavolo un po’ appartato, assaporo la brezza che soffia dalle colline circostanti. Di fronte a me Nanni, intento a sorseggiare un milk shake con la cannuccia.
<< Ho preferito girare a Bari molte scene del mio ultimo film, anche se è ambientato a Roma >>, dice posando il boccale. << Come mai? >>, gli chiedo stupito. << Perché Roma non è più quella di una volta, certi angoli caratteristici non esistono più >>. << Mah… Negli ultimi anni ci sono stato spesso, a me non sembra. Il quartiere ebraico, ad esempio, con tutti quei vicoli, le case antiche, le piazzette con le fontane… >>. Nanni mi guarda con l’aria scazzata di chi vorrebbe dire “ma che ne sai tu”, perciò correggo subito il tiro: << Va bene che, l’ultima volta, di Roma ho visto più che altro il soffitto di una camera da letto… >>. Gli strappo un ghigno: << La battuta è buona. Peccato che non sia tua >>. << È autobiografica >>, replico: << la vita, quella è la mia >>. << Oh sì >>, esclama, << e pure questo sogno da matto in cui mi hai trascinato senza motivo >>. Cerco di argomentare: << Senza motivo no. In albergo ho notato un turista che ti somiglia moltissimo. Indossa persino i tuoi stessi occhiali da sole >>.
Nanni fa una smorfia: << Freudiano di merda >>. << Junghiano, al massimo >>, ribatto risentito: << Jung aveva una bellissima villa sul lago di Zurigo >>. << Jung era nazista >>, sibila. << Ma che dici >>, sbotto, << a volte sei proprio insopportabile. Sempre lì a sputare sentenze. Presuntuoso… >>. Lui fa spallucce e volge lo sguardo altrove. << Come questa cazzata di ambientare Roma a Bari >>, mi scaldo: << perché proprio Bari, poi? >>. << Perché è una città mediterranea >>, si sta spazientendo anche lui, << e io volevo che nel mio film si respirasse quell’aria >>. << Certo, e magari fai parlare il papa come Cassano… Potevi scegliere Torino. La conosci bene, no? Certi scorci sono identici a quelli romani. Pensa solo al Quadrilatero: sembra di essere a Trastevere… >>.
Nanni prorompe in un “aaah” irritato: << Product placement, Pim. Si chiama product placement. Mai sentito nominare? >>. Rimango un attimo sbigottito: << Product placement? Ma che lingua parli >>. << Vedi? Neppure sai cos’è >>. Nanni si alza di scatto dando un calcio alla sedia e mi punta il dito contro: << Product placement, product placement, product placement! >>, strepita con voce sempre più acuta e gracchia, << Product placement, product placement, product placement! >>. Devo mettermi le dita nelle orecchie, tanto è assordante. << Product placement, product placement, product placement… >>.
All’improvviso, tutto si fa buio. Il mare, la terrazza, il bar, il tavolino, e anche Nanni: tutto scomparso. In primo piano, sotto un riflettore, una bottiglia di qualche cosa, forse ouzo, e un bicchierino mezzo pieno. Dall’alto cala una voce ben impostata da soprano: “Pub-bli-ci-tàaaa!”.