Pare che, in un cinema di Bologna, abbiano scambiato le etichette apposte sui rulli di The tree of life di Terrence Malick, dunque sia stato proiettato dapprima il secondo tempo e poi il primo. Pare soprattutto che, per una settimana, nessuno se ne sia accorto, né gli esercenti né il pubblico. Pare, sottolineo, perché reputo poco probabile la faccenda: in sala dormivano tutti?
Provo comunque a fare una supposizione: e se l’inversione dei rulli non fosse un errore, bensì una scelta? L’ultimo cinema del mondo, di Alejandro Agresti, parla giustappunto di un paese della Patagonia dove le pellicole vengono proiettate dopo essere state rimontate casualmente: per cui vedi subito la fine, quindi il principio, infine ciò che succede in mezzo. In fondo, avvertiamo spesso la sensazione che la nostra vita non abbia una trama lineare, ma scorra secondo criteri antinarrativi, sino al limite del non-senso. Quante volte percepiamo smarrimento o confusione davanti alla frammentarietà dispersiva di certi intrecci. Quante volte perdiamo il filo del racconto – e non per colpa della stanchezza o della demenza precoce. E se la nostra vita si potesse raffigurare come un albero capovolto, con le radici sospese nel cielo e la chioma all’ingiù, in equilibrio instabile?