Le onde sciabordano sulla chiglia, si allargano al vento le vele di gabbia. La nave è una donna forte e fedele, sa tener testa alle tempeste. Sono di prua, lo sguardo dritto dove l’orizzonte va a nascondersi nel cielo. Ho il petto gonfio di muscoli e respiro, le mani callose come scogli, il cuore consumato dal sale marino. Vado, senza astrolabio né bussola. Mi oriento seguendo la corsa del sole, osservando il volo di uccelli costieri. La notte prendo la posizione della luna e della stella polare. È l’abitudine continua alle rotte d’altura che fa navigare senza l’assillo di scorgere approdi. Niente terra, da nessuna parte, per migliaia di miglia. So cos’è l’oceano. Potrei contargli le gocce, ad una ad una.
(Puerto de la Cruz, Tenerife, 5 agosto 2004. Per L.)