Phineas Gage era un ragazzone americano il quale, nel 1848, venne
colpito accidentalmente da una barra di ferro che gli trapassò il cranio danneggiando il lobo frontale. Il suo comportamento, fino a quel momento del tutto normale,
divenne irriverente, irrispettoso, irresponsabile, asociale. Venne licenziato e
non fu più capace di trovare un’occupazione regolare, né crearsi una vita stabile come
quella precedente. Finì tristemente i suoi giorni facendo il fenomeno da
baraccone in un circo. Noi siamo il nostro cervello. Questo il senso del passo
di Keith Oatley che segue. I pensieri, i ricordi, le emozioni che proviamo: conserviamo
tutto lì. Una lesione, un’emorragia cerebrale, una demenza, e noi non siamo più
la stessa persona. Talora più nulla.
“L’elemento più straordinario che emerge da questo episodio è che la nostra individualità, per noi stessi e per i nostri cari, dipende dal cervello [...]. Dopo aver subito un danno cerebrale di una certa entità. non si è più la stessa persona. Se una donna ha il morbo di Alzheimer, non è più la stessa. Prima dell’incidente, Phineas Gage era una persona amabile e affidabile. Dopo, diventò irascibile e impaziente: << Non è più Gage >>. […] Fu l’esempio più noto, e tale rimane, di un uomo la cui personalità cambia improvvisamente per un danno a una parte specifica del cervello. […] La nostra individualità dipende in modo ineluttabile dall’integrità del cervello. Se il cervello è gravemente compromesso, anche noi lo siamo. L’errore di cui Damasio accusa Cartesio nel titolo del suo libro [L'errore di Cartesio] era quello di separare corpo e anima. Cartesio descriveva l’anima o, come diremmo noi oggi, la mente, come immateriale e distinta dal cervello. Pensava che l’anima dell’uomo potesse incidere sul cervello allo scopo di creare razionalità. L’incidente avvenuto a Phineas Gage ci informa inequivocabilmente che, se è compromesso il cervello, lo è anche la mente. E se per anima intendiamo la personalità, purtroppo anch’essa è alterata se è alterato il cervello. Forse Cartesio non era molto lontano dal vero pensando che nell’anima ci fosse l’essenza dell’individuo. È difficile pensare a tale essenza come a qualcosa di materiale, pensare alla materialità dell'anima nello stesso modo in cui si pensa che il pollice è materiale. L’errore, se ce n’è uno, si verifica quando dobbiamo applicare questo concetto a qualcuno che conosciamo e amiamo: è difficile per noi uomini riconoscere che l’immateriale è profondamente legato a ciò che è materiale”.
(Keith Oatley, Breve storia delle emozioni, Il Mulino)