Come credo capiti a ogni bambino, la prima volta al cinema fu un cartone animato. Walt Disney, nel mio caso. Bambi. Non so con precisione quanti anni avevo, probabilmente sei o sette. Ricordo soltanto che era un sabato di inizio primavera e mio padre, che lavorava in un’azienda del gruppo Fiat, aveva ottenuto dei biglietti per lo spettacolo pomeridiano. Laura si mostrò sin da subito entusiasta, invece io contenni l’aspettativa dandole forma di una lieve inquietudine.
Conservo tuttora nettissime le sensazioni che provai non appena entrai nella sala ancora illuminata: i passi attutiti sulla moquette rossa, i comodi sedili di velluto e, davanti al sipario che nascondeva lo schermo, un grosso pannello con alcune scritte pubblicitarie. Tutt’intorno gli altri bambini, accompagnati anch’essi dai genitori, si dimenavano e schiamazzavano eccitati. Ero contento, ma più che altro turbato da quell’esperienza nuovissima che, se per un verso mi affascinava, per un altro m’intimoriva. Solo alcuni decenni più tardi sono giunto a spiegarmi le ragioni: ero un bambino insicuro, ogni situazione sconosciuta costituiva un elemento di naturale attrazione ma facevo fronte all’incertezza con uno stato di cauta apprensione. Ciò che si desidera può anche metter paura, tanto nell’infanzia quanto nell’età adulta.
Le luci infine si spensero, il vociare si affievolì e d’incanto la tela bianca si riempì di luce. Anzi, si rese colore. Per la prima volta assistevo ad una proiezione che non era in bianco e nero come proponeva la televisione. Inizialmente furono proprio le tinte accese a rapirmi, mentre i titoli di testa si ergevano cubitali e la musica colmava le orecchie di zucchero. Consumata la stupefazione iniziale, fui preso completamente dalla storia: Bambi, il coniglietto Tippete, la puzzola Fiorellino. Ancora oggi rivivo con nettezza le emozioni suscitate da alcune sequenze. La morte di mamma cerbiatto per mano del cacciatore, la cui inspiegabile cattiveria mi sgomentò. L’incendio nella foresta, quel rosseggiare delle fiamme che invadevano lo schermo, mi pareva persino di sentirne il calore. Provai apprensione per la sorte di Bambi nonostante intuissi, da piccolo avveduto lettore di romanzi avventurosi quale ero, che la storia non poteva terminare così. Quando il cerbiatto ricomparve, sia pure un po’ affumicato, mi sentii confortato; e insieme a me tutti gli altri bambini, che emisero all’unisono un aaahhh di sollievo.
Questa è la storia di Bambi e della mia prima volta al cinema. Seguirono poi altri classici della Disney, da La carica dei 101 a Gli Aristogatti, Lilli e il vagabondo, Fantasia. Videocassette e DVD erano ancora di là da venire, il piccolo schermo offriva film e telefilm ma la visione domestica non accendeva di meraviglia il cuore. Con Bambi scoprii che la sala cinematografica significava la terra ideale dove nutrire gli occhi di sogni, dove l’impossibile si faceva possibile, il desiderio si tramutava in realtà. Una terra alla quale recare visita in occasione del natale o di qualche festa comandata, così da arricchire l’atmosfera incantata in cui, indotto dalla suggestione potente delle immagini, il prodigio si riproduceva.
Da allora il cinema ha contribuito a dare una spiegazione accettabile alle mie pulsioni più segrete, a rendere il mondo (il mio mondo) più vivibile, negli anni fragili dell’adolescenza e poi in quelli inquieti dell’età adulta. Mentre ogni film mi scorreva addosso, insieme a tutta la vita che girava intorno, mi accorgevo di quanto ignoravo, non capivo, soprattutto non sapevo di me e non sapevo neppure di non sapere. Da quelle storie che vengono ancora oggi a farmi visita ho cominciato a riunire i frammenti dell’esperienza personale configurandoli in un senso accettabile, a pensare ciò che prima sembrava impensabile, a dare conoscenza ai sentimenti e sentimenti alla conoscenza. Ma cos'è raccontare se non questo?
Buone Feste
Pim
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