L’idealismo distacca totalmente
le persone dal mondo reale, le pone al di là di qualunque contatto umano. Non è
possibile sovrastare tale attitudine con il ragionamento. Questa specie di isolamento opera su
di me un atteggiamento fortemente ambivalente. Per un verso, almeno all’inizio,
mi irrita, e quindi cerco di riportare su un piano reale le
convinzioni del mio interlocutore. Quindi mi addolcisco almeno un po’, perché comprendo
che rappresenta un bisogno di valori (il più delle volte non realizzabili) o aspettative
(sovente non mantenute) che condivido anch’io. O, più prosaicamente, il
bisogno di illusioni, quindi di bugie, di cui siamo impregnati tutti quanti.
Mi torna alla mente il finale di Heart of Darkness: Marlow capisce che è
bene che la fidanzata di Kurtz non venga a conoscenza degli orrori di cui egli è
stato partecipe. Non può raccontarle la verità perché “sarebbe stata una cosa
troppo tenebrosa”.
"La sua fine", dissi, mentre una sorda irritazione sorgeva in me, "fu degna in tutto della sua vita". "E io non gli ero vicina", mormorò. La mia collera cedette di fronte a un sentimento di infinita pietà. "Perdonatemi. Io - io - l'ho pianto così a lungo in silenzio - in
silenzio... Siete stato con lui - sino
all'ultimo? Penso alla sua solitudine. Senza nessuno vicino che lo capisse come l'avrei capito io. Forse
senza nessuno che lo udisse...". "Sino alla fine", dissi con voce
scossa. "Ho udito le sue ultime parole...". Mi fermai spaventato. "Ripetetele", mormorò lei con tono straziato. "Ho bisogno - bisogno - di qualcosa - qualcosa - con cui - con cui poter
vivere". Ero sul punto di
gridarle "Ma non le udite?". Il crepuscolo le andava ripetendo in un
bisbiglio insistente tutt'intorno a noi, in un bisbiglio che sembrava gonfiarsi minaccioso
come il primo bisbigliare del vento che si alza. " Che orrore! Che orrore!". "L'ultima sua parola - con cui poter
vivere", insistette. "Non capite che l'amavo -
l'amavo - l'amavo!". Mi feci
forza e parlai lentamente. "L'ultima parola che pronunciò fu - il vostro nome". Udii un lieve sospiro e quindi il
cuore non si mosse più, s'arrestò di colpo al grido esultante e terribile, al grido
d'inconcepibile trionfo e di dolore indicibile. "Lo sapevo - ne ero sicura...".
Lo sapeva. Ne era sicura. La udii piangere; aveva nascosto il volto fra le mani. Mi parve che la casa
dovesse rovinare prima che potessi fuggire, che il
ciclo dovesse crollarmi sulla testa. Ma non accadde nulla. Il cielo non crolla per così poco.
Sarebbe crollato, mi chiedo, se avessi reso a Kurtz
quella giustizia che gli era dovuta? Non aveva forse detto egli stesso che voleva soltanto giustizia? Ma io non potevo. Non
potevo dirlo a lei. Sarebbe stata una cosa
troppo tenebrosa - troppo tenebrosa davvero...
La scena è incisiva ed emozionante
perché rappresenta la capacità umana di sfuggire la concretezza, la verità. In
una parola: il principio di realtà. Cosa che, come ho detto, subito mi
indispettisce ma poi, come Marlow, finisco per assecondare. Questa facoltà di autoingannarsi reca
con sé la necessità di esercitare un ferreo controllo sugli eventi e, al tempo
stesso, un’insostenibile vulnerabilità che mi turba, sento che mi appartiene.
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