Viviamo in un tempo in cui la rapidità e la brevità dell’informazione sono considerate un valore. Ottima cosa. Si confonde però spesso la semplicità con la semplificazione. La semplicità va bene per le cose semplici, ma la vera bellezza della realtà sta invece nella complessità. Attrezzarsi a decifrarla è - dovrebbe essere - un esercizio obbligatorio che si impara fin dai banchi della scuola. Altrimenti, confondendo semplicità e semplificazione, si perviene all’imprecisione. All’errore. Anche grossolano. In questo senso Internet non aiuta a meditare, ad argomentare, a ricostruire almeno un’idea della complessità del mondo. La comunicazione, che avviene esclusivamente con testi scritti, influenza il contenuto del messaggio che tende appunto a essere essenziale sino, talvolta, all’elementarità. Per non dire del rischio di uscire dal contesto, non riuscire a spiegarsi, quindi non essere compresi (nei toni e nei modi) e innescare reazioni a catena. In undici anni di vagabondaggi attraverso la Rete ho accumulato una certa esperienza al riguardo, dai primi Forum di discussione per arrivare a Twitter. Ecco, appunto, Twitter. Bisogna essere davvero molto sicuri delle proprie opinioni per condensarle in 140 caratteri. Troppo sicuri, così da tradurle in assiomi. Per twittare occorre essere apodittici e integralisti (infatti per questa frase mi sono bastati meno di 50 caratteri). Io sono uno che, per natura, tende alla sintesi, ma Twitter impone una semplificazione e, soprattutto, una perentorietà che non mi appartengono.