L’uomo cominciò a carezzarle le ondulazioni dei capelli, quindi strinse nelle mani il suo viso e avvicinò la bocca. Le labbra di lei si appoggiarono sulle sue dapprima fuggevolmente, poi cedettero a un contatto più prolungato. Le lingue s’incrociarono, trovando un facile varco nella chiostra socchiusa dei denti. Dopo qualche lunghissimo istante, la donna si staccò dal torace di lui e, portando le mani alla schiena, sganciò il fermaglio del reggiseno, lasciando cadere le spalline in avanti. Poi, con mossa altrettanto rapida, sfilò contemporaneamente leggings e mutandine fino sotto le caviglie. L’uomo ne replicò i movimenti con fare disinvolto, si liberò dei pantaloni e li depose sulla poltrona accanto.
Fu in quel preciso momento che la donna abbassò lo sguardo e si ritrovò a fissare l’alluce destro di lui che occhieggiava stupidamente da un buco aperto nel calzino. Un calzino classico, lungo, scuro, con l’elastico allentato intorno al polpaccio. Le parve subito chiaro che non si trattava di una scucitura recente, casuale, di quelle che possono avvenire per attrito dopo una giornata trascorsa indossando calzature scomode, oppure un cedimento improvviso che segue a svariate rammendature. No, il calzino appariva vistosamente liso, superstite di tensioni protratte, di sfibrature sempre trascurate. Anzi, dalle sdruciture s’intravedevano in trasparenza altre dita non meno stupide e insolenti. Chissà per quanto tempo erano rimaste lì a consumarsi insieme al cotone, a macerare lentamente nel cuoio duro della scarpa. Come non immaginare l’odore fungino provocato dal microclima stantio cui il piede era costretto.
L’uomo non si accorse di quello sguardo, o forse non diede a vedere l’imbarazzo, compreso com’era nella parte dell’amante pronto all’uso. D’altra parte, la scena era durata appena l’attimo fuggevole che occorre a uno scatto fotografico. Ma in quell’attimo, pregno di sensazioni moleste, nel cuore e nel sesso della donna l’eccitazione si spense. E non le fu più possibile riprenderla.
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